Cara Signora Fornero,
ho deciso di scriverle oggi, 2 novembre, giorno in cui si commemorano i nostri cari che non ci sono più, poichè anche io, sebbene ancora viva fisicamente, psicologicamente non lo sono più da tempo, esattamente dalla fine di dicembre 2011, mese in cui stavo preparando la documentazione per andare finalmente in pensione come, sempre avviene per la scuola, con l’emanazione della circolare Miur di gennaio. Ma, ahimè, una fucilata in pieno viso mi colpisce brutalmente privandomi di un diritto acquisito (ad anno scolastico inoltrato da ben 4 mesi) sancito da norma precisa (il comma 1 dell’art. 1 del D.P.R. 351/1998 che vincola la cessazione dal servizio nel comparto scuola «all’inizio dell’anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata») e l’art. 59 della legge 449/1997 (che stabilisce, sempre per il comparto scuola, che «la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno») e condannandomi ai lavori forzati per altri 6 lunghi e pesanti anni. Non mi dilungo su questa ingiustizia della quale è stato detto tutto e il contrario di tutto. E’ stato riconosciuto “l’ERRORE”, sia da Lei, Signora “per la fretta con cui fu varata la riforma e per la scarsità di informazioni forniti dall’INPS” sia dalla politica stessa che a fine luglio scorso ha approvato un emendamento all’interno del D.L.90, stralciato, cinque giorni dopo al Senato in quanto “non congruo con la ratio del provvedimento” (mentre ha ritenuto congruo salvaguardare, vergognosamente, i giornalisti con 18 anni di contributi e 57 di età). ”Ci sarà un provvedimento ad hoc a fine agosto” ha dichiarato il Presidente Renzi. Ma è trascorso settembre, ottobre, siamo a novembre e non s’intravede nessuna soluzione per “il pasticciaccio brutto di Quota 96” nè all’interno de “La buona scuola” nè tantomento nella Legge di stabilità. Si starà di certo domandando “ed io cosa c’entro? Che ci posso fare se la politica cinica ed incompetente non provvede?” Gli errori si possono commettere, certamente, ma una volta riconosciuti si correggono, si emendano, ed il prima possibile, perchè reiterarli sarebbe veramente diabolico. Ma è esattamente questo che sta avvenendo. Si è deciso di perseverare, di fare cassa sulle spalle della classe docente più vecchia del mondo, la meno remunerata d’Europa, la più tartassata politicamente, la meno considerata socialmente. Io insegno alla scuola d’infanzia, ho un gap generazionale di 60 anni rispetto ai piccoli alunni di tre anni che devo educare, coinvolgere nell’apprendimento e nella socializzazione ma soprattutto li devo accudire e soddisfare le esigenze di ciascuno di loro. Posso farlo a questa età con efficienza, com’è giusto che sia? La risposta è NO! Ci vogliono maestre giovani, motivate, piene di passione, aperte alla vita, forti, in perfetta salute per svolgere questa professione. I bambini sono meravigliosi, ti arricchiscono lo spirito ma ti prosciugano la linfa vitale e, dopo 40 anni di dedizione totale, ti accorgi di non avere più niente da dare poichè hai dato tutto ciò che avevi da dare ed hai diritto di pensare a te stessa e alla tua salute. Se poi sei addirittura “costretta” a recarti al lavoro a causa di un’ingiustizia il peso diventa insopportabile e finisci col detestare ciò che avevi amato per una vita. ”Ed io cosa c’entro”? continuerà a domandarsi. C’entra eccome, cara Signora, perchè tutto è cominciato con quell’ERRORE, chiamiamolo pure così. Un ERRORE che porta la sua firma ma che è stato firmato da TUTTI gli altri partiti, ad eccezione di pochi. Un ERRORE che Lei ha riconosciuto come tale ed ha auspicato che venisse sanato. Non è stato così, ancora. Con la presente, ecco il motivo di questa mail, vorrei domandarle di intervenire pubblicamente con un APPELLO al Presidente Renzi e a tutto il governo affinchè sani, nella L.di Stabilità, questa ingiustizia che si sta protraendo troppo a lungo. Un suo appello potrebbe sbloccare questa situazione. Ci provi. Servirebbe a restituire Giustizia a circa 3.000 docenti/ata privati di un loro sacrosanto diritto e darebbe l’opportunità di stabilizzarne altrettanti. Sono certa che la sua voce verrebbe ascoltata se decidesse, dopo averne riconosciuto lo svarione, di erigersi a paladina per la correzione. Quasi certamente questa mia verrà cestinata ma sarei piacevolmente sorpresa se ottenessi una risposta a riguardo. Grazie per l’attenzione.
Cordialmente, Kiara Farigu (anni 63…Q.101)
Gentile signora Farigu,
sono davvero dispiaciuta per la sua situazione. Ho ricevuto, e continuo a ricevere, molte lettere di persone che a vario titolo mi scrivono lamentandosi della riforma delle pensioni, definendola, nel migliore dei casi, un “errore” e nel peggiore il frutto perverso della mia mente contorta o del mio animo cattivo. Ho sempre cercato di rispondere a tutti, singolarmente e personalmente, anche a quelle che contengono insulti e malauguri. E di rispondere in modo pacato. Il numero delle lettere, però, è recentemente aumentato (forse perché gli effetti della riforma si fanno sentire nel tempo o forse perché alcuni esponenti politici, la Lega in primo luogo, continuano a soffiare sul fuoco della protesta) e ho perciò deciso di inviare una lettera uguale per tutti, che ovviamente non sarà quindi una risposta “personalizzata”. Non è una lettera per cercare di giustificarmi, bensì per cercare di spiegare.
Anzitutto, le condizioni del novembre 2011. A dispetto delle ricostruzioni più o meno fantasiose di questi mesi, non ci fu complotto, bensì una crisi di credibilità di un paese fortemente indebitato (e indebitato dalla pessima politica degli ultimi decenni) e in situazione di stallo politico. Il rischio di non riuscire a trovare i soldi necessari per pagare stipendi, pensioni e servizi pubblici era reale, non di fantasia. Noi siamo stati “chiamati” per assolvere un compito, che il governo aveva tra l’altro assunto in sede internazionale, in situazioni di vera emergenza. Occorreva una risposta all’altezza della situazione, e credibile. Riforme lente, come quelle attuate in precedenza, non sarebbero state sufficienti. Ricordo anche, e l’ho più volte detto, che i conti non li fa il ministero del lavoro, che non ha una struttura adeguata, bensì il ministero del tesoro, e più precisamente la RGS. E ricordo che invariabilmente la formula usata in quei venti venti giorni (sic!) di preparazione della riforma era “non basta ancora, Ministro”. Tant’è che fu necessario arrivare alla sospensione dell’indicizzazione delle pensioni ai prezzi, inizialmente proposta su tutte le pensioni (anche quelle basse) e poi, su mia insistenza, introdotta solo per le pensioni sopra i 1400 euro.
A questo punto (questione “esodati” a parte, su cui dirò qualcosa dopo), è difficile interpretare come “errori” veri e propri le restrizioni introdotte nei confronti di diverse categorie che si ritengono ingiustamente toccate. L’età di pensionamento è sensibilmente aumentata, sia per gli uomini, sia per le donne. Il sacrificio, per chi deve lavorare più a lungo, non è piccolo. A loro volta, però, questi lavoratori possono domandarsi se non sia giusto che anche ai “15enni” o ai contributori volontari debbano essere aumentati i gli anni di contribuzione e posticipata la pensione. Si può definire un errore? O non piuttosto una scelta necessaria?
Bisogna anche avere chiaro che la riforma ha rappresentato un significativo ri-bilanciamento, a favore dei giovani, nei rapporti tra generazioni. Una riduzione del “debito ” che grava sulle loro spalle. Ogni alleggerimento della riforma equivale a ripristinare almeno un po’ il precedente squilibrio. Capisco che non è facile da accettare, però bisogna considerare che la brusca sterzata non è figlia della cattiveria del governo tecnico (perché alla fine, è il governo responsabile, non un singolo ministro), ma dell’indisponibilità dei governi precedenti di assumere decisioni impopolari. Certo non abbiamo portato noi il paese sull’orlo del baratro, e non si dica che il baratro non c’era.
Vi sono ancora tre osservazioni. La questione delle salvaguardie e quella delle pensioni d’oro. Sulla prima ho già detto molte volte che il numero di 65mila non è stata una mia scelta. So di avere la responsabilità politica, ma almeno dovrebbe essere riconosciuta quella di chi mi ha dato numeri sbagliati. Senza contare gli accordi individuali e quelli non registrati, che non potevano essere conosciuti da nessuno. La verità è che in mezzo a molte persone che meritavano davvero, per equità, la salvaguardia se ne sono aggiunte altre che hanno cercato di difendere i loro privilegi, e proprio per questo hanno spesso fatto la voce più grossa delle categorie più deboli. E la stampa e i partiti politici non hanno perso l’occasione per dare addosso al ministro, anziché aiutare a risolvere il problema. Il quale non può essere solo sempre un problema di pensionamento, ma deve invece essere considerato un problema di mancanza di lavoro. Ed è troppo facile risolvere il primo caricandone gli oneri sul sistema pensionistico. È molto più difficile e scomodo per la burocrazia cercare di aiutare le persone, con politiche attive e formazione adeguata, a ritrovare un lavoro.
La seconda considerazione riguarda le pensioni d’oro. Qui, la cosa che proprio non mi va giù è la sentenza della corte costituzionale che, sulla base di argomentazioni, a mio avviso errate e non coerenti con lo spirito della costituzione, ha bocciato il contributo di solidarietà sulle pensioni alte. Un contributo che avrebbe garantito un elemento di equità alla riforma, che è invece finito per mancare. Aggiungo, come nota perdonale, che non ho mai nascosto, ma neppure pubblicizzato, che io la pensione da ministro l’ho rifiutata. E, diversamente da persone come Bonanni, che dicono di agire nell’interesse dei laboratori, posso guardarli allo specchio sapendo che non ho mai fatto una scelta pensando al mio interesse personale o di qualcuno più di altri vicino a me.
La terza considerazione riguarda le possibilità di interventi e di influenza di un ex ministro, per di più tecnico. Queste possibilità sono inevitabilmente assai basse. Spetta alla politica prendersi la responsabilità di dire che quella riforma è stata un errore ed eventualmente di tornare indietro. O anche di modificare alcune norme. Il parlamento non ha le mani legate. Se vuole può farlo. Deve spiegarlo però non solo e non tanto all’Europa, ma alle giovani generazioni, sulle quali, peraltro, la stessa classe politica continua, senza coerenza, a “piangere”.
Capisco che questa risposta lascerà insoddisfatti alcuni (molti? tutti?) ma è l’unica sincera. Almeno questo la fase politica non mi ha tolto: la sincerità, l’indipendenza di giudizio, e la consapevolezza di avere lavorato, non per me stessa, non per un partito, o un sindacato o un gruppo di pressione, ma per il futuro del paese e quindi per i giovani e per le generazioni future.
Spero che il Parlamento, che continua a difendere privilegi, possa rimediare a situazioni come la sua! E le auguri di poter presto ritrovare una certa tranquillità.
Un saluto non formalmente cordiale, Elsa Fornero