1 docente per 9,75 alunni: la Buona scuola rigonfia il divario

Per giustificare la sforbiciata di 87mila cattedre, il Governo Berlusconi, attraverso Tremonti e Gelmini, martellava sul rapporto alunni/insegnanti, che da 9 a 1, attraverso varie operazioni di cosiddette riforme epocali, si attestò a 12 a 1, avvicinandosi così alla media europea che in ogni caso rimaneva intono a 14 a 1.

Nell’ultimo report dell’Ocse «Education at a glance 2016», si fotografa proprio il 2014: ebbene, nella primaria si confermava un rapporto alunni/insegnanti di 12 a 1; così come nella secondaria, 12 a 1. Contro una media europea di 14 a 1 nella primaria, 12 a 1 nella secondaria.

Nel confronto internazionale restavamo sempre indietro: in Francia, per esempio, il rapporto alunni/insegnanti nel 2014 si attestava a 19 a 1 nella primaria, 13 a 1 nella secondaria.

In Germania, 15 a 1, nella primaria, 13 a 1 nella secondaria; in Spagna, nei due gradi di istruzione, 14 a 1, 12 a 1; nel Regno unito, si registrava, rispettivamente, 20 a 1; 16 a 1

Con l’ingresso, come è noto, di circa 90mila professori precari realizzata dal governo Renzi i numeri del rapporto sono ritornati addirittura più ristretti tanto che nella primaria il rapporto alunni/insegnanti è sceso a 9,75 a 1; nella secondaria 9,83 a 1, mentre il Miur si prepara a stabilizzare altri  25mila prof.

A mettere in risalto questi numeri, un articolo del Sole 24 Ore che ne ricorda il costo complessivo, pari a 400 milioni l’anno, a cui occorre aggiungere altre 30-40mila immissioni in ruolo.

Tuttavia, si domanda il quotidiano: abbassando ulteriormente il rapporto alunni/insegnanti, c’è una evidenza empirica che dimostri che meno studenti per docenti migliori il livello medio degli apprendimenti?

 

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Secondo i dati elaborati dal Sole, che fa riferimenti a quelli ufficiali dell’Ocse,  già tre anni fa, l’Italia aveva uno dei rapporti alunni/insegnanti tra i più bassi al mondo (e si tenga conto che il dato italiano 2014 non teneva conto dei professori di religione, stimati in circa 30mila – aggiungendo questi si tornava sotto 12 a 1).

Nel 2016, dopo la tornata di stabilizzazioni (costo per l’Erario 2,2 miliardi a regime) il quadro è il seguente: nella primaria il rapporto alunni/insegnanti è sceso a 9,75 a 1; nella secondaria 9,83 a 1. Anche qui non si tiene conto dei circa 30mila professori di religione (con loro saremmo ancora più bassi). Nella scuola primaria, prendendo per ancora valido il dato Ocse del 2014, l’Italia diventerebbe penultima in Europa: peggio di noi farebbe solo la Grecia (9 a 1). Nella secondaria saremmo terz’ultimi: ci supererebbero Austria e Lettonia, entrambi con un rapporto alunni/insegnanti di 9 a 1.

Alla luce di questi dati, rischia di apparire davvero incomprensibile la “querelle” Miur-Mef, innescata da Valeria Fedeli per ottenere dal collega Pier Carlo Padoan una nuova stabilizzazione di 25mila cattedre, di cui, a oggi, non ce ne è bisogno.

«Serve puntare sulla qualità, non sulla quantità di docenti. E tagliare gli eccessi con una vera spending review». Quello che colpisce da questi numeri, aggiunge Daniele Checchi (università di Milano) è «l’apparente impossibilità di programmazione. Ci si sarebbe aspettati che le assegnazioni dei nuovi professori fossero andate laddove il divario tra organico di diritto e organico di fatto fosse più pronunciato. Ma evidentemente così non deve essere avvenuto. Bisogna adesso che il Miur si doti di un modello previsivo del fabbisogno insegnanti a medio termine. E che poi riesca ad attenersi a quelle previsioni, resistendo alle richieste particolaristiche di riavvicinamento di una frangia più o meno ampia del mondo insegnante».

Pasquale Almirante

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