Nel 2016, dei circa 16 mila laureati italiani tra i 25 e i 39 anni hanno lasciato l’Italia, la maggior parte nativi del Sud, appena 5 mila sono rientrati. In pratica, in un anno, su tre under-40 con titolo accademico andati via dall’Italia, solo uno è tornato. Lo dice il rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes 2017) dell’Istat, pubblicato il 15 dicembre.
Nel rapporto si spiega che “la capacità dell’Italia di favorire prospettive di occupazione altamente qualificata per i laureati italiani continua a mostrare segnali decisamente negativi“.
Inoltre, rileva l’istituto di statistica, “è aumentata la disuguaglianza“. Ecco che “nel 2016 l’incidenza della povertà assoluta, più che raddoppiata durante la crisi, si è mantenuta su valori elevati (7,9%) ed è ulteriormente aumentata tra i minori (12,5%, corrispondente a 1 milione 292mila) mentre gli anziani si confermano il gruppo meno fragile (3,8%)”.
L’Ansa ha messo in parallelo questi dati con quelli dell’Ocse sugli squilibri nel mercato del lavoro in Italia: nel nostro Paese, scrive l’organismo parigino, “i titoli di studio e le qualifiche danno un’indicazione molto debole delle reali competenze e abilità degli studenti e dei lavoratori che li possiedono”, afferma l’organizzazione in un rapporto sulle “giuste competenze”. E questo rende il processo di selezione e assunzione, da parte delle imprese, “particolarmente difficile”, specie nei casi di giovani laureati e con poca esperienza
Per l’Ocse, inoltre, le riforme sulla ‘Buona Scuola‘, del mercato del lavoro con il ‘Jobs act’ e della politica industriale con ‘Industria 4.0’, vanno nella giusta direzione e possono dare una spinta per colmare il gap, ma la sfida è ancora aperta. Resta la necessità di “rafforzare il dialogo fra il mondo della scuola, gli studenti e le imprese affinché si riduca il divario fra le competenze sviluppate dagli studenti e lavoratori italiani e quelle richieste dalle imprese“.
Per l’organismo internazionale, inoltre, occorre rafforzare la formazione tecnica e professionale, anche in modo da ridurre “la dicotomia” con i licei.
L’evidenza mostra che i laureati ‘specializzati’ transitano “più rapidamente verso lavori di alta qualità e ben retribuiti”.
Gli altri, i laureati senza una formazione e professionalità definita, rimangono “intrappolati in un mercato del lavoro che li colloca in posti di scarsa qualità”.
Non può essere un caso, quindi, che il 35% circa dei lavoratori italiani svolge professioni che non hanno nulla a che vedere con la propria formazione. Ma anche che il 21% occupa posti di qualità medio-bassa, pur avendo conseguito una preparazione che li predisponeva verso occupazioni di rilievo o comunque più qualificate. Subendo, in tal modo, una perdita media salariale del 17% circa rispetto a coloro che si specializzano in un’area con chiare opportunità occupazionali.
Ecco perché per l’Ocse occorre allineare le competenze con le esigenze del mercato del lavoro: “è un obiettivo fondamentale per aumentare la produttività e il benessere di tutti gli italiani”.
L’Ocse ha anche realizzato uno specifico approfondimento sul versante scolastico.
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