Istat fa sapere che circa 437mila giovani svolgono un lavoro non adeguato al loro titolo di studio: si tratta del 18% dei diplomati (il 24% dei maschi contro il 9% delle femmine) e del 28% dei laureati (il 30,5% delle femmine e 20,1% dei maschi).
Negli ultimi anni sta prendendo il sopravvento anche la cosiddetta economia dei “lavoretti”: tra i 600 e i 750mila lavoratori in Italia, e che non sono solo riders ma anche baby sitter e badanti, addetti alle pulizie , traduttori di testi, consulenti di design che propongono i propri servizi tramite il crowdwork, il lavoro dato in outsourcing sul web. Tra i gig worker il 18% ha un diploma di liceo, il 10% una laurea triennale, il 14% una magistrale e il 6% un master o addirittura il dottorato di ricerca.
Per quanto riguarda i laureati, il fenomeno della overeducation è più o meno ampio a seconda dell’indirizzo.
“Si va dal minimo- scrive Il Sole 24 Ore- dei medici (10,6%) al massimo di laureati in area umanistica e nelle scienze sociali (entrambi intorno al 36%). Due categorie, queste ultime, che comprendono i dottori in lettere e filosofia, quelli in storia, archeologia, lingue straniere. Ma anche sociologi, laureati in scienze politiche, psicologia e giurisprudenza. Per chi si specializza in questi indirizzi si può dire che, in media, nei primi anni dopo il titolo oltre un terzo di quelli che lavorano trovano sbocchi per cui la laurea è un surplus”.
Inoltre –si legge sul Sole 24 Ore- il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi. A fronte di miglioramenti nei tassi di occupazione, la produttività del lavoro è addirittura diminuita, riaprendo un gap crescente con altri paesi avanzati, come Stati Uniti, Germania e Francia.
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