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1° Maggio, per i giovani c’è poco da festeggiare. Il monito di Napolitano

Come fanno i giovani a festeggiare la Festa del lavoro se meno di uno su cinque ha un impiego con prospettive valide? E’ questa la contraddizione maggiore che riguarda il 1° maggio del 2011. Anche perché la situazione occupazionale degli under 29 italiani peggiora di mese in mese: ormai siamo al 29 per cento di disoccupati ufficiali, cui bisogna aggiungere una percentuale ancora più alta di occupati in lavori altamente precari e spesso privi delle garanzie che comportano i contratti tradizionali.
Il malessere è palpabile, è tale che nel giorno della Festa dei lavoratori sono le massime istituzioni dello Stato e del Governo a parlarne apertamente. Tra “gli obiettivi ineludibili – ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della Festa del 1° maggio al Quirinale – ci sono il consolidamento dei conti pubblici e una crescita più sostenuta”, insieme alla capacità di dare una risposta “alle esigenze e alle domande delle giovani generazioni”. Napolitano mostra preoccupazione soprattutto per quanto riguarda la disoccupazione giovanile: è vero, non bisogna lasciarsi andare “a facili giudizi stroncatori ma indubbiamente allarmano i dati relativi ai giovani tra i 25 e i 29 anni” e “richiede il massimo sforzo di riflessione il dato dei quasi due milioni di giovani fuori da ogni tipo di occupazione. In questa situazione – ha sottolineato Napolitano, di forte disagio e incertezza per larghi strati di giovani, si riflettono evidentemente debolezze non recenti del nostro complesso processo di crescita” e occorre correre ai ripari: “lo sviluppo economico e la sua qualità sociale, la stessa tenuta civile e democratica del nostro Paese passano attraverso un deciso elevamento dei tassi di attività e di occupazione”.
Immediata, arriva, la risposta del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che intervenendo anche lui al Quirinale, ha ammesso: “un paese lungimirante non si attarda in dibattiti spesso retorici sul precariato. Progetta invece, giorno per giorno, percorsi di istruzione e formazione di qualità, accessibili a tutti e coerenti con le esigenze del sistema produttivo”. Il riferimento è all’apprendistato, anticipato da questo Governo a 15 anni di età, divenuta da alcuni mesi la soglia minima per far valere l’esperienza sul campo lavorativo in luogo di quella scolastica: con questi obiettivi il Governo ha realizzato la riforma dell’apprendistato “facendone – ha sottolineato il Ministro – lo strumento tipico dell’ingresso nel mercato del lavoro”. Sacconi, in linea con il pensiero espresso più volte dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha quindi detto che è necessario creare “prospettive di stabilità occupazionale, puntando sulle competenze e sui meriti più che su rigidità di legge e di contratto”.
Il ministro del Welfare è sembrato rivolgersi direttamente ai diretti interessati, invitando genitori, educatori, docenti e tutte le parti sociali coinvolte ad “aiutare i giovani a comprendere in anticipo le loro attitudine, a coltivare i loro talenti, garantendo pari dignità ai percorsi professionalizzanti e a quelli liceali, al lavoro manuale e a quello intellettuale. Ad apprezzare l’autoimprenditorialità e il rischio di impresa”. A fronte della situazione economica particolarmente difficile che stiamo vivendo, Sacconi ha nello stesso tempo però anche invitato i giovani “a non attendere in ogni caso nell’inattività il lavoro desiderato, ma a costruirlo responsabilmente anche con occupazioni lontane dai propri doverosi legittimi sogni. E a costruirsi un solido percorso previdenziale”.
Niente illusioni, quindi: Sacconi ha avvertito che “ogni comportamento meramente assistenziale, oltre a tutto incompatibile con il contemporaneo vincolo della stabilità di bilancio, risulterebbe al contrario deresponsabilizzante e orienterebbe al declino la nostra società. A partire dai più giovani ai quali non possiamo né dobbiamo promettere un posto pubblico senza concorso o un salario garantito”.

Parole in antitesi con quelle pronunciate, attraverso un videomessaggio pubblicato su www.youdem.tv, dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: rivolgendosi a “chi il lavoro ce l`ha, ma ha paura di perderlo, a chi non ce l`ha e lo cerca, ma anche a coloro che nemmeno lo cercano più”, Bersani ha detto che c`è troppo poco lavoro, in particolare per le donne e per i giovani: “solo uno su cinque è occupato. E quasi sempre lo è con un contratto precario”. Bisogna lottare contro la precarietà: “Il lavoro precario deve costare di più di quello stabile, c`è bisogno di un salario minimo per chi non è coperto dal contratto nazionale; servono investimenti pubblici per dare un po’ di lavoro”.

Alessandro Giuliani

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