La sera del 1° marzo 1938 una emorragia cerebrale si portava via Gabriele d’Annunzio: il Vate. Era nato a Pescara il 12 marzo 1863.
Figura controversa di intellettuale, fu uno dei primi a fare conoscere il pensiero di Friedrich Nietzsche in Italia attraverso le traduzioni dal francese, mentre le sue gesta eroiche infiammarono i giovani italiani sia a favore dell’intervento armato contro gli imperi Centrali nella Prima guerra mondiale e sia per la liberazione di Fiume a seguito della cosiddetta “Vittoria mutilata” del 1918.
Scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista è comunque il simbolo del decadentismo italiano di cui l’espressione più ampia è visibile nella sua casa-museo al “Vittoriale degli italiani” sul lago di Garda.
Lo ricordiamo soprattutto come poeta, mentre non di grande successo fu la sua produzione drammatica, ampollosa e retorica, nonché di difficile rappresentazione. Come anche i suoi romanzi dove la liricità, presente invece e ampia nelle poesie, è stordita da ricerche espressive enfatiche e che non convincono del tutto.
Segnaliamo, tuttavia, per chi non lo avesse letto, l’epistolario con Eleonora Duse, attrice bellissima e diva conclamata di teatro, grazie alla quale la sua “Francesca da Rimini” ottenne qualche successo.
“Vedo il sole”, scrisse Eleonora Duse nel primo biglietto per Gabriele, e parlava di lui, che definirà il loro incontro “un incantesimo solare”.
“Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923”: dal loro primo incontro veneziano nel 1894 fino all’ultimo, a Milano, un anno prima della morte di lei, passando tra le infinite tournée dell’attrice e le ardite imprese politiche e mitologiche di lui.
Giovanni Pastrone, per ottenere la sola sua firma nelle didascalia nel primo kolossal della cinematografia mondiale “Cabiria”, del 1917, gli diede 50mila lire oro. Ma lui si limitò appunto a correggerne solo qualcuna e aggiungere qualche parola. Ma il film passò per molti anni come “scritto dal Vate”.
Inseguito dai debitori, chiedeva anticipi esorbitanti agli editori con cui si impegnava a scrivere libri che poi non realizzava o realizzava a metà.
Su di lui, ma anche questo è noto, si è calato una sorta di pregiudizio ideologico, riscontrandone il nazionalista, il guerrafondaio, il decadente e anche il precursore del fascismo, l’inventore dei riti di massa e delle parole d’ordine sui quali si sarebbe fondato il regime.
Nessuno però potrà mai sottovalutarne l’ingegno e la personalità imponente, mentre rimangono, come sulfurea aureola, gli smaniosi sensuali fascini che sapeva inviare alle donne. Che amò e di cui fu amato, a cominciare dalla Duse alla principessa Gravina, dalla marchesa Casati ad Alessandra di Rudinì. Quelle più note.
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