Dal prof Salvatore Distefano, storico e presidente della società catanesi di storia, riceviamo un opportuno ricordo di quel 10 giugno del 1940, quando l’Italia fascista entrò in guerra a fianco dei nazisti.
Il 1° settembre 1939 Hitler dà ordine al suo esercito di superare il confine della Polonia ed è a questa data che si fa risalire l’inizio della Seconda guerra mondiale. L’invasione tedesca della Polonia, che resiste con estremo eroismo all’aggressore, si conclude in meno di un mese e rivela al mondo la potenza dell’armamento tedesco, già creando il mito dell’invincibilità della Germania. Il piano di attacco, da tempo studiato, porta all’avvolgimento delle forze nemiche da nord e da sud, con l’aiuto dell’aviazione e di potenti carri armati. Hitler ebbe ragione della eroica resistenza polacca dopo che Varsavia, difesa da più di centomila uomini, fu bombardata a lungo dalla Luftwaffe che sganciò sulla città centinaia di tonnellate di bombe.
L’annessione dell’Austria
La marcia di Hitler verso la guerra era stata facilitata dal comportamento delle liberal-democrazie occidentali, che non avevano reagito alle annessioni dell’Austria (Anschluss, marzo 1938) e della regione dei Sudeti che apparteneva alla Cecoslovacchia (settembre 1938) con il pretesto che la maggioranza dei suoi abitanti erano di lingua tedesca.
Germania responsabile del conflito
La storiografia unanimemente attribuisce alla Germania nazista la responsabilità del conflitto che provocherà più di cinquanta milioni di morti e si concluderà dopo lo sganciamento delle due bombe atomiche statunitensi su Hiroshima e Nagasaki e la pace firmata col Giappone il 2 settembre del 1945. Sin da subito, del resto, il nazismo hitleriano aveva programmato la guerra di conquista di vasti territori (Lebensraum), teorizzando il Drang Nach Osten, e la sottomissione di popoli e nazioni considerati inferiori dal razzismo nazista. Un passo decisivo verso la guerra fu compiuto a Monaco, nella famosa Conferenza che si svolse alla fine di settembre del 1938, quando Francia e Gran Bretagna, con la mediazione di Mussolini, capitolarono e accettarono le richieste di Hitler: le due potenze europee, liberaldemocratiche, sottovalutarono la gravità della situazione e ritennero di poter allentare la tensione e mantenere la pace attraverso continue concessioni alle rivendicazioni tedesche: era la politica dell’appeasement o dell’arrendevolezza.
L’alleanza con la Germania
L’Italia quando cominciò il regime hitleriano, nonostante l’affinità dei regimi politici interni e nonostante l’ammirazione nutrita dal capo nazista per Mussolini, da lui considerato suo maestro politico, non si trovò in sintonia nelle questioni di politica internazionale. L’allineamento tra i due Paesi avvenne con la guerra civile spagnola, quando Hitler e Mussolini puntarono tutte le loro carte sul caudillo Francisco Franco e si accordarono per aiutarlo militarmente, creando una situazione di potenziale urto con la Gran Bretagna. Di fatto, la rottura dell’intesa con l’Inghilterra, una costante della politica estera italiana fin dal Risorgimento, avrà delle conseguenze disastrose per il fascismo e per l’Italia nella Seconda guerra mondiale. L’alleanza con la Germania viene formalmente ratificata con un comunicato congiunto italo-tedesco dopo la visita in Germania di Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e genero di Mussolini, seguito da un discorso del duce a Milano che annuncia la formazione di un <<Asse Roma-Berlino>>, che diventerà l’<<Asse Roma-Berlino-Tokio (RO-BER-TO) meno di un anno dopo, in seguito alla firma dei tre Paesi di un patto di comune lotta detto “anti-Komintern”. L’allineamento dell’Italia alla Germania non si spiega solo con la guerra civile spagnola o con umori e vanità ideologiche di Mussolini; piuttosto, fu un’inevitabile conseguenza della politica economica e sociale propria del regime fascista italiano, e del suo completo fallimento, prodotto dalle ripercussioni della grave crisi del 1929-1933, che aveva provocato un grave depauperamento delle riserve valutarie italiane e una drastica riduzione delle capacità di importazione dell’Italia. E la guerra d’Etiopia che aveva accresciuto il consenso delle masse all’interno del Paese, non aveva funzionato, però, come strumento di pressione per indurre le maggiori potenze ad agevolare il capitalismo italiano nella fornitura delle materie prime, ed aveva aggravato le difficoltà dell’economia italiana riducendo le riserve valutarie ed accrescendo il deficit del bilancio. Sappiamo che l’autarchia non aveva funzionato e la necessità di risparmiare valuta pregiata aveva spinto l’Italia a trovare al suo interno surrogati ai prodotti non più importabili e all’esterno a cercare materie prime nell’area balcanica e danubiana, e soprattutto a trovare l’accordo con la Germania.
Le responsabilità del fascismo
Del resto, le responsabilità storiche del fascismo per i massacri del Novecento sono evidenti. Nel discorso tenuto a Milano nel 1954 alla presenza di Ferruccio Pari, così si esprimeva Piero Calamandrei: ”Nel manganello e nell’olio di ricino c’erano già quei primi micidiali germi del flagello, che venti anni dopo, sviluppati fino alle loro spaventose conseguenze dalla gelida consequenziarietà teutonica, dovevano fatalmente portare allo sterminio scientifico delle camere a gas. Nel macabro cerimoniale in cui gli incamiciati di nero, preceduti dai loro osceni gagliardetti, andavano solennemente a spezzare i denti di un sovversivo o a verniciargli la barba o a somministrargli, tra sconce risa, la purga ammonitrice, c’era già, ostentata come un programma di dominio, la negazione della persona umana. Il primo passo, la rottura di una conquista millenaria, fu quello: il resto doveva fatalmente venire.”
Italia impreparata alla guerra
Mussolini non entrò subito in guerra. Badoglio e gli altri generali lo avevano messo in guardia sull’impreparazione del Paese ad affrontare un conflitto così devastante che avrebbe portato alla “fine dell’imperialismo italiano”, anche se “il peso politicamente scarso e militarmente quasi irrilevante che l’Italia sembrò esercitare nel 1940-’43 non autorizza a continuare ad ignorare o a trascurare […] i motivi e la parte che essa ebbe nello scatenamento del conflitto, nel contribuire a renderne irreversibile la natura e nel dilatarne, col suo intervento, l’area”. (Ernesto Ragionieri, Storia d’Italia 4***, Tomo terzo, Giulio Einaudi editore, p. 2276).
L’ingresso in guerra dell’Italia avvenne nella più completa impreparazione militare ed economica, con un’opinione pubblica decisamente tiepida, se non addirittura passiva di fronte all’evento.
10 giugno 1940
Dopo i successi tedeschi e la drôle de guerre che Inghilterra e Francia portavano avanti cercando di trarre il massimo vantaggio dalla “non belligeranza” italiana, alla vigilia dell’invasione della Francia da parte della Germania, Mussolini, che il 1° settembre del ’39 aveva dichiarato la non belligeranza, ritenne che l’Italia dovesse intervenire per poter condividere con la Germania i frutti della vittoria. E così il 10 giugno 1940, ottanta anni fa, l’Italia entrò in guerra, accentuando la disgregazione militare e politica della Francia, e il 14 dello stesso mese le truppe tedesche entrarono a Parigi.
Mussolini sperava di togliere alla Francia la Corsica, Nizza, la Savoia e le colonie in Africa del Nord, ma a dimostrazione che Hitler non lo teneva in gran conto insediò nel Paese transalpino il governo collaborazionista del maresciallo Pétain a Vichy e i desideri di Mussolini furono immediatamente spenti; a quel punto le mire del duce saranno rivolte verso l’Egitto scatenando la reazione britannica che porrà fine alle ambizioni italiane.
La Sicilia in prima linea
Al momento dello scoppio della Seconda guerra mondiale, e soprattutto quando operazioni militari importanti cominciarono a svolgersi nel Mediterraneo e nell’Africa del Nord, la Sicilia si trovò in prima linea. La guerra di Mussolini la coinvolse direttamente, e fu tra le prime regioni d’Italia a subirne le conseguenze. Quando la contraerea italiana non fu più in grado di garantire un minimo di protezione, i suoi porti e le sue città subirono attacchi aerei devastanti.
Aver indirizzato la guerra dell’Italia verso il Nord-Africa e aver fatto diventare il Mediterraneo il fronte più importante sul quale l’Italia si trovò impegnata fece, dunque, della Sicilia un centro nevralgico del conflitto; l’isola doveva servire come base strategica per bloccare il passaggio delle forze inglesi da Gibilterra a Suez, per rifornire le truppe italo-tedesche in Africa (dato che la Germania aveva dovuto inviare gli Afrikakorps al comando del generale Erwin Rommel), e ancor più la sua importanza risalterà pienamente quando ci sarà nell’isola lo sbarco degli anglo-americani nel luglio del 1943.
Delitti e ferocia
I regimi fascisti furono, dal primo all’ultimo giorno, un susseguirsi permanente di delitti e di ferocia: furono i regimi più barbari e feroci che la storia moderna ricordi, regimi crollati senza nulla lasciare di positivo all’infuori di rovine e di dolori; crollati sprofondando nella vergogna, coperti dalle maledizioni dei vivi e dalle montagne di milioni di morti, vittime delle follie criminali di quei regimi, vittime dei sogni pazzeschi di coloro che volevano dominare il mondo: Deutschland über alles.
Cinquanta milioni di morti è costata la Seconda guerra mondiale! Queste sono state le grandi opere dei regimi fascisti. In questa guerra i nazisti e i fascisti hanno prodotto ciò a cui barbarie umana non era mai arrivata: i forni crematori, dove milioni di ebrei, di vittime innocenti, di prigionieri di guerra, tra i quali decine di migliaia di soldati e ufficiali italiani, sono stati bruciati. Morti nei campi di concentramento e di sterminio dell’<<alleato>> in Germania, mandati lì con la complicità dei fascisti.
L’Italia ripudia la guerra
E per evidenziare la profonda differenza, una vera e propria rottura, tra la Repubblica democratica nata dalla Resistenza e il fascismo, nella Costituzione del 1948 verso la guerra fu espresso quel ripudio che rappresenta la cifra dell’articolo 11 della Carta ”L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.