I pensionati non ci stanno: dopo 10 anni di tagli del loro assegno, una riforma Fornero che gli ha ridotto l’assegno di quiescenza anche del 30%, il passaggio al regime contributivo meno vantaggioso, il contemporaneo aumento generalizzato del costo della vita, in tanti credevano all’azione del Governo M5S-Lega. Ma anche l’esecutivo del Cambiamento si è finora confermato in linea con quelli del recente passato, andando a tagliare la rivalutazione delle pensioni sopra i 1.522 euro lordi (quindi tutte le pensioni non molto sopra i 1.000 euro al mese) con tanto di conguaglio arrivato pochi giorni dopo le elezioni europee.
Nella lista delle azioni deludenti del Governo in carica, dicono i pensionati, c’è anche l’anticipo pensionistico Quota 100, considerato un vero e proprio flop. In effetti, nella scuola avrebbe dovuto far lasciare il servizio a più di 50 mila docenti e Ata; invece, hanno aderito in 17 mila.
Così, il 1° giugno sono scesi in piazza a Roma, in piazza San Giovanni: in 100 mila, chiamati a raccolta dai sindacati Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil, hanno espresso dissenso contro le politiche economiche degli ultimi Governi, i quali con questo andare hanno prodotto “una perdita pro capite fino a 20 mila euro”.
Lo slogan dell’iniziativa è stato: “Dateci retta”. Perché, sostengono, “il governo non ha fatto nulla per migliorare la condizione di vita di 16 milioni di persone anziane”. E dicono basta ai “pensionati bancomat dei governi”.
Hanno gridato no al nuovo taglio della rivalutazione degli assegni, rivendicando la riduzione del carico fiscale e il rilancio del Servizio sanitario nazionale, perché diventi “davvero universale” e per una legge sulla non autosufficienza.
“Dateci retta, cambiate politica perché così ci portate a sbattere. A questo governo chiediamo dove sia andato a finire il contratto di milioni di pensionati con lo Stato. In quel contratto non c’era scritto di tagliare la rivalutazione delle pensioni. Voi quel contratto lo avete stracciato”, ha detto il segretario generale dello Spi-Cgil, Ivan Pedretti.
Il suo è stato un intervento molto applaudito: “Non siamo noi gli avari, ma siete voi che state dilapidando risorse che non sono vostre, senza nemmeno domandare”, aggiunge. “Volete una guerra tra poveri perché quei soldi non li avete presi dai ricchi, dagli evasori e dagli imbroglioni. Aumentate il finanziamento pubblico sulla sanità, servono 4 miliardi per dare a tutti i cittadini italiani il diritto a curarsi. Fate una legga sulla non autosufficienza, abolite i ticket, riducete le liste d’attesa, assumete più personale senza ingrossare le fila dei privati”.
“Senza risposte da parte del governo, metteremo in campo una serie di iniziative: dello sciopero dei nonni allo sciopero generale”, ha gridato il segretario generale della Fnp-Cisl, Gigi Bonfanti.
“Lo sciopero dei nonni potrebbe precedere lo sciopero generale: l’idea è che per un giorno i nonni non aiutino le famiglie, per fare in modo che così il Paese capisca il valore economico e sociale degli anziani, di supplenza rispetto ai servizi che mancano”.
Secondo Bonfanti, “da troppo tempo il governo si dimentica dei pensionati. La rivalutazione delle pensioni è l’unico modo per recuperare il potere d’acquisto. Da questa piazza lanciamo uno stimolo alle tre confederazioni perché, se non ci sono risposte, insieme ai lavoratori possano arrivare ad uno sciopero generale: insieme lavoratori e pensionati, giovani e anziani“.
Uno sciopero della scuola, al momento, non sembra però plausibile: l’intesa del 24 aprile, infatti, ha “congelato” quello previsto lo scorso 17 maggio, su cui inizialmente avevano dato l’assenso anche Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda.
Con il premier Giuseppe Conte, i sindacati maggiori del comparto scuola hanno infatti sottoscritto un’intesa su tre importanti temi: precariato, stipendi e regionalizzazione.
Solo sul primo, però, il Governo si starebbe muovendo, come confermato dal ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, che nell’antivigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo ha annunciato l’avvio dei Pas abilitanti e dei concorsi riservati ai precari con almeno 36 mesi di servizio.
Su stipendi (tra i più bassi in Europa) e regionalizzazione (chiesta a gran voce da Veneto e Lombardia), invece, siamo fermi. Anzi, sull’autonomia differenziata subito dopo l’esito trionfante delle elezioni europee, la Lega è tornata alla carica, ricordando che si tratta di uno dei punti basilari del Governo giallo-verde. Con il M5S che sinora non ha replicato, probabilmente preso dai problemi derivanti dal dimezzamento di preferenze.
Nelle prossime settimane, ma soprattutto ad inizio autunno, quando si entrerà nel vivo per definire la Legge di Bilancio 2020, ne sapremo di più.
Di sicuro, però, se le attuali tendenze del Carroccio dovessero prendere piede, allora anche la scuola potrebbe unirsi allo sciopero generale.
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