Perché gli unici argomenti che sembrano dominare le news ed i social sono, come sempre, il personale, gli edifici, le strutture.
Ma non so quanti, invece, si stanno chiedendo sulle nuove domande formative, sui contesti socio-demografici, sui ragazzi e giovani di oggi. Quanti, cioè, si interrogano sul valore del “far scuola” oggi” in un contesto nel quale il percorso della conoscenza che si fa competenza viene messo in dubbio dal “fai da te” fatto più di opinioni che di altro. Penso qui, per citare solo un caso, alla questione dei vaccini.
Perché la scuola non è, in soldoni, una priorità per i governi che si succedono? Per un solo motivo: per il milione di persone, cioè per motivi elettorali.
A parole, tutti parlano del valore-scuola, nella realtà contano invece non gli studenti ma il personale da sistemare, al quale, cioè, assegnare un posto di lavoro.
Consiglio tutti, per questi temi, di leggere il bel libro di Giovanni Floris, edito da Solferino, l’editrice del Corriere, intitolato “Ultimo banco. Perché insegnanti e studenti possono salvare l’Italia”.
Ma non so quanto avranno il coraggio, una volta letto e meditato, di cambiare angolo visuale, rispetto a certe letture assistenziali tradizionali.
Il mondo della scuola dovrebbe, per dirla tutta, avere il rilievo che oggi ha il tema dei migranti. Essere cioè sulla bocca di tutti. Mentre, purtroppo, è ai margini, non è cioè al centro delle attenzioni, anche se, a parole, tutti sanno che è la scuola di qualità il migliore investimento del Paese, la migliore speranza per il suo futuro.
Sì, è vero, noi gongoliamo quanto sentiamo dei nostri giovani in gamba che si distinguono e vengono premiati, soprattutto all’estero. Ma pochi considerano che questi giovani in gamba sono sì il segno del buon lavoro che si fa, ma poi, costretti ad andare all’estero, di fatto depauperano il nostro presente-futuro di queste “eccellenze”, con le opportunità di miglioramento e d innovazione che potrebbero rappresentare. Questo non vuol dire che tutto sia oro colato, ma che, nonostante tutto, ci sono presidi e docenti che credono in quello che fanno, cioè la vera “buona scuola”, anche se, in troppi casi, sono eccezioni rispetto alla regola di una prassi ordinaria, nella quale, invece, le criticità abbondano.
Insomma, vedendo queste stesse criticità, al centro della scuola ci sono gli studenti, le loro speranze, oppure i posti di lavoro da assegnare ai docenti, ai presidi, al personale?
Dobbiamo cioè partire dai precari da sistemare, oppure dal valore sociale della formazione? Dobbiamo continuare a parlare del “sistema scuola” nel suo complesso, oppure, meglio, delle scuole come interfaccia del nostri tessuti sociali? Cosa significa “servizio pubblico”?
Considerato, infine, il dibattito sull’analfabetismo funzionale, è evidente che non possiamo limitarci solo ai ragazzi e ai giovani, ma anche agli adulti, come formazione in itinere.
E qui ritorna un tema che dice la qualità della scuola, perché costruita a diretto contatto con il proprio tessuto sociale, cioè l’autonomia.
Basterebbe copiare dalla governance degli ITS, in stretta relazione con gli enti locali. E prevedere un “curricolo locale” lasciato alla autonomia delle scuole, all’interno di un POF territoriale, comprensoriale, per poter rispondere nel migliori dei modi da un lato ai fondamentali culturali della formazione, e dall’altro alle nuove domande formative.
Queste criticità fanno capire perchè, per chiudere, l’Italia è al penultimo posto per numero di laureati, in rapporto alla popolazione.
Suggerisco, infine, per capire questi ed altri aspetti, un altro bel libro, quello di Alessandro Barbano, intitolato “Troppi diritti. L’Italia tradita dalle libertà”, appena edito da Mondadori.
Lo diceva bene Brancati: “L’Italia non si stanca mai d’ essere un paese arretrato. Fa qualunque sacrificio, perfino delle rivoluzioni, pur di rimanere vecchio”.
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