Se i docenti perdono autorevolezza e prestigio, sino diventare con sempre più frequenza oggetto di aggressioni varie, la colpa va ascritta in primo luogo a chi gestisce la scuola: negli ultimi anni sono state approvate delle leggi e delle direttive che non premiano le specializzazioni dei docenti e lo studio in classe, ma la formazione fuori scuola. A sostenerlo è stato Adolfo Scotto di Luzio, professore di Storia della Pedagogia all’Università di Bergamo, nel corso del convegno “Il ruolo dell’insegnante nella scuola della società liquida”.
“La perdita di ruolo e di prestigio degli insegnanti – ha spiegato Scotto di Luzio – va cercata in questo modo di comprendere la scuola: tutto quello che i docenti sanno, non vale nulla. La Storia, la letteratura, la filosofia, non contano”.
Ed in certi casi si mettono in cattedra dei docenti che non sono preparati in modo adeguato: “la filosofia, ad esempio, può essere insegnata da laureati in scienze politiche o della comunicazione. È assurdo”.
“L’alternanza scuola-lavoro è la monumentalizzazione di questa idea: quello che è importante si apprende fuori scuola, perché la pratica è più importante dello sviluppo intellettuale”.
“Il compito della scuola, certo, non è insegnare la democrazia: il compito dell’insegnante è dotare l’individuo di strumenti intellettuali per diventare un buon democratico. In modo, che il ragazzo possa costruirsi individualmente come stare nella sfera pubblica”.
“E più ricca è la sua cultura – continua l’accademico -, più questi avrà possibilità di decifrare il mondo. Invece l’amministrazione lavora all’opposto: perché il ministro dell’Istruzione, ad esempio, ha cancellato la Storia nell’esame di maturità?”.
Secondo l’accademico, “più si impoverisce la partecipazione, più si crea consenso univoco. Non condivido l’esaltazione dei social network, perché conduce verso la passività dell’individuo”.
“Oggi, invece, sono in azione forze ideologiche che premono verso gli italiani, per convincerli che la scuola funziona meglio se prepara alla professione. Invece, dovrebbe orientare la coscienza dei giovani.
Nessuna scuola si è mai pensata indipendentemente dagli sbocchi professionali, solo che oggi è sempre più sottomessa al mercato del lavoro”.
Scotto di Luzio ha quindi detto che “nessuno sa cosa accade nelle aule scolastiche: non viene trattato in termini politici, ma locali. Deve invece diventare una questione nazionale. L’autonomia scolastica ha spaccato il sistema, portando all’attuale esito catastrofico. Perché a Palermo si fanno cose completamente diverse rispetto a quello che si fanno a Bergamo?”.
E ancora: per lo storico “studiare non è un processo semplice, si studia perché non si sa. È un ostacolo che produce quella che Gramsci chiamava la noia dello studio, perché il ragazzo sta affrontando qualcosa che non conosce. Quindi l’idea che la scuola debba essere accattivante è sbagliata, perché depotenzia la vita individuale che si vive nelle aule. L’idea che conoscere sé stessi e studiare sono due cose diverse è sbagliata”.
Infine, di Luzio reputa “necessario capire quali sono le radici storiche di questo processo, iniziato con la linea degli anni Settanta, sulla scia di Maria Montessori e don Lorenzo Milani. I quali, invece, sono i nemici culturali della scuola italiana. Don Milani non ha scritto una lettera ad una professoressa, ma ‘contro’ una professoressa”.
“Se non si parte da questa revisione culturale, il professore italiano non costruirà alcuna autorevolezza, in modo che riparta finalmente dall’asimmetria: il docente dà ordini e l’adolescente apprende”, ha concluso il professore universitario.
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