In meno di tre giorni 10 mila domande: se non è un record, poco ci manca. L’approccio a quota 100 fa registrare un numero decisamente sopra le aspettative. Il dato, per la precisione 9.243 richieste di accesso alla pensione anticipata, è stato reso pubblico dall’Inps e si ferma alle ore 15 del 31 gennaio: nello specifico, le domande giunte all’istituto di previdenza direttamente dai cittadini sono state 2.912, mentre quelle presentate attraverso i patronati ammontano a 6.331.
Si tratta, in prevalenza, di cittadini con almeno 62 anni e 38 di contributi che in questo momento risultano privi di lavoro o in condizioni non favorevoli, quindi particolarmente motivati ad entrare nel regime pensionistico.
Secondo il presidente uscente dell’Inps, Tito Boeri, presidente dell’Inps, però, è presto per fare dei bilanci: “arriveremo – ha detto il 30 gennaio a margine del Forum delle Politiche sociali promosso dal Comune di Milano – circa a 325 mila persone in più che dovrebbero andare in pensione rispetto al quadro previgente, cioè precedente a questa riforma”.
“Le stime della relazione tecnica parlano per il 2019 di 290 mila persone, poi ci sono le persone che potrebbero beneficiare dell‘opzione donna (con decurtazione del 30% ndr), ci sono le persone che beneficeranno del congelamento e dell’adeguamento della speranza di vita per le pensioni anticipate”.
“Se questi sono i numeri su cui si ragiona – ha detto Boeri -, erano nelle previsioni della ragioneria dello Stato e della relazione tecnica allegata al provvedimento. Quindi, sono circa mille persone in più al giorno che dovrebbero arrivare nel corso del 2019, quindi chiaramente nei primi due giorni siamo al di sopra di questo numero”.
Quindi “è legittimo aspettarsi che nei primi giorni ci sia un maggior numero di domande”, tuttavia “mi sembra presto per dire che c’è stato un boom di domande, un numero superiore alle aspettative. Siamo abbastanza in linea con quanto ci si potesse aspettare”.
Il numero uno dell’Inps ha infine notato che le domande sono giunte per “circa il 40% direttamente all’Inps, cioè non attraverso i patronati, il che segnala anche il fatto che l’Inps in questi anni ha recuperato un rapporto diretto con i cittadini che non necessariamente passa attraverso gli intermediari”.
E i lavoratori della scuola? Nessuno ne parla: quel che è certo è che le domande potranno essere presentate entro il prossimo 28 febbraio e che la “finestra” d’uscita sarà quella tradizionale, quindi il 1° settembre 2019.
In base a quanto riportato nel “decretone” su reddito di cittadinanza e quota 100, in questi giorni all’esame della commissione Lavoro di Palazzo Madama, si evince poi che solo per la scuola l’anno in corso dovrebbe valere per intero.
In pratica, Ata e dirigenti scolastici che compiranno i 62 anni anche nei mesi terminali del 2019, comunque entro il 31 dicembre prossimo, dovrebbero comunque avere la possibilità di accedere a quota 100. Come accade con la pensione di vecchiaia.
E lo stesso discorso dovrebbe valere per il raggiungimento dei 38 anni complessivi di contribuzione: in pratica, varrebbero anche i quattro mesi che vanno da settembre a dicembre 2019, anche se il lavoratore non li avrà praticamente effettuati.
La differenza rispetto agli altri dipendenti sta nella sorta di compensazione che lo Stato offre ai lavoratori della scuola perché rimangono gli unici a fruire di una sola “finestra” annuale.
Il personale scolastico sperava di saperne di più dalla prima pubblicazione della circolare illustrativa dell’Inps, del 29 gennaio, che ha fatto seguito all’arrivo del decreto in Gazzetta Ufficiale: ma è rimasto deluso, perché non aggiunge nulla a quanto si sapeva.
Ora, non rimane che attendere – peraltro davvero poco – la prossima circolare, dello stesso Inps ma anche del Miur, che definirà nei dettagli requisiti e, probabilmente, dato non trascurabile, l’incidenza negativa sull’assegno di quiescenza: per chi lascia con cinque anni di anticipo (stime Snals) la riduzione sarà fino 350 euro al mese nette e 17.000 euro nette di Tfr. Non proprio “noccioline”…
Intanto, di quota 100 parla anche il ministro per la Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno: intervenendo a ‘I Lunatici’, su Radio Due, la titolare della PA ricorda che “con ‘quota 100’ abbiamo stabilito che tutti i dipendenti pubblici che andranno in pensione, quelli che aderiranno a ‘quota 100’, ma anche quelli che lo faranno con il regime ordinario, avranno subito 30mila euro, che spero possano diventare 45mila. Credo sia una cosa bellissima che siamo riusciti a fare”.
Per la Bongiorno, inoltre, “‘quota 100’ può essere un alleato per il ricambio generazionale e per la digitalizzazione della Pa. In Italia il dipendete pubblico ha un’età media di 52 anni, 56 anni per i dirigenti”.
Anche tra i docenti, ricordiamo, l’età media è ormai per due insegnanti su tre sopra i 50 anni: la categoria negli ultimi anni, proprio a causa dell’innalzamento dei requisiti per lasciare il lavoro, ha fatto registrare sempre meno uscite.
La ministra della PA ha infine specificato di non volere assumere nello Stato “tanto per mettere persone dietro ad una scrivania: questo non serve. Ho indicato quelle che per me sono le priorità: giovani per la digitalizzazione, specialisti nell’utilizzo dei fondi strutturali”.
Infine, su quota 100 continuano ad esprimere le loro riserve i sindacati: il provvedimento, ha detto il 31 gennaio il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo a Rho Pero, vicino Milano, “è certamente favorevole per quelli che hanno 38 anni di contributi e 62 anni di età. E noi siamo d’accordo. Il problema è che non dà risposte ai giovani che hanno fatto lavori precari, alle donne che sono sempre penalizzate e al problema del Mezzogiorno”.
Quota 100, ha continuato il Confederale, “darà risposte soltanto ai lavoratori della grande impresa e del pubblico impiego -aggiunge Barbagallo-. Vorremmo discutere con il governo del resto, altrimenti si accontenta solo una parte ma non risolve il problema. La legge Fornero non si affronta così”.
Pensioni quota 100, come presentare la domanda. Messaggio Inps [PDF]
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