I lettori ci scrivono

12,2 miliardi di euro se ne vanno in bonus

Il nostro è un mondo disgregato e che soffre di bulimia per quel che riguarda l’informazione. Le troppe notizie, invece di facilitarla, offuscano la comprensione degli eventi e rendono complicata la ricostruzione di quel puzzle elementare che raffigura le scelte politiche del nostro Paese. È necessario mettere insieme i pezzi per capire dove stiamo andando, per comprendere davvero qual sia il grado di cialtroneria di chi ci governa.

Ad esempio, la recente discussione sull’innalzamento dell’età pensionabile si è conclusa, di fatto, con la vittoria della linea governativa; a parte una manciata di lavoratori, tutti gli altri si vedranno aumentare di cinque mesi i requisiti necessari per accedere alla pensione. Quanto costa preservare dall’innalzamento dell’età pensionabile i 14.600 lavoratori impegnati nei settori definiti usuranti? Cito il Sole24ore: “Si prevede per il primo anno un costo di 100 milioni di maggiore spesa pensionistica (che sale a 121,9 milioni considerando anche le spese per il fondo di integrazione salariale)”. Ora, lasciamo da parte il fatto che lacci e lacciuoli normativi faranno sì che la quota complessiva sarà inferiore, probabilmente, ai 14.600 lavoratori previsti. Confrontiamo i 100 milioni destinati a salvaguardare i lavoratori che svolgono lavori usuranti e che il governo ha fatto l’”enorme” sforzo di concedere, con la cifra destinata nella Legge di stabilità ai bonus: ben 12,2 miliardi di euro (miliardi, non milioni) distribuiti quasi tutti secondo l’aborrito “metodo a pioggia” quello che a scuola i Dirigenti (e, ahimè, anche troppi docenti) considerano alla stregua della peste bubbonica quando si tratta di distribuire il “bonus al merito”. Si vede che, in altri campi, la distribuzione “a pioggia” non è percepita come uno fra i mali peggiori. Così, che io sia miliardaria o che tiri a fatica la carretta, nel 2018 potrò usufruire di 125, 5 milioni di euro per le ristrutturazioni, di 72,7 milioni per l’ecobonus, di 43, 5 per l’acquisto di mobili, di 290 milioni per il bonus diciottenni, di 390 milioni per il “premio alla nascita”, di 250 milioni per il “bonus nido” e di ben 889 milioni per il “bonus assunzioni” (decontribuzione al 50% per assunzioni stabili di under 35; stabili si fa per dire, perché con l’abolizione dell’art.18 io imprenditore “smetto quando voglio” il rapporto con il lavoratore).

Ma non finisce qui: dopo una battaglia di anni che ho avuto modo di seguire su “Gardenia”, peraltro bella rivista dedicata a piante e giardini, nasce il “bonus pollice verde”. E sono altri 6,5 milioni di euro che trasmigrano dalla fiscalità generale alle tasche di tutti (di tutti quelli che possono spendere soldi per il proprio giardino; la solita redistribuzione dal basso verso l’alto. Lascio al lettore l’intuire qual sia la collocazione sociale media del proprietario di giardino). Il bonus “a pioggia” che forse desta più incredulità è il “bonus dilettanti”: vale a dire la creazione di una “no tax area” a 10 mila euro per direttori di bande amatoriali e allenatori dilettanti. Ce la caviamo con altri 8,7 milioni di euro. Arriviamo ora alla scuola: per il “bonus docenti” (che comprende la quota per l’aggiornamento e quella per il riconoscimento del merito) se ne andranno 581 milioni. Il rinnovo contrattuale per il triennio 2016/2018, costerà 674,98 milioni; mi pare non serva commento e mi pare anche che la richiesta dei sindacati “maggiormente rappresentativi” di portare sul tabellare i 581 milioni per i “bonus” sia l’unica cosa sensata che sindacati oggettivamente asserviti abbiano detto da anni. Ma tenuto conto del fatto che gli stipendi del personale della scuola sono fermi dal 2009, anche inglobando negli aumenti la cifra destinata ai bonus siamo ben al di sotto di quello che potrebbe rendere dignitoso lo stipendio di un ATA o di un docente.

In conclusione, non lasciamoci ingannare da chi dice che i soldi non ci sono: quello che manca è una pratica politica che non si accontenti del piccolo cabotaggio e che, con la scusa di elargire una mancia qua e una mancia là, non persegua, di fatto, una politica di incremento delle diseguaglianze economiche.

di Giovanna Lo Presti

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