Sulle dichiarazioni del Ministro Bussetti contro le scuole del sud e sulla regionalizzazione della scuola, abbiamo intervistato il vicepresidente della Camera dei deputati l’On. Fabio Rampelli di Fratelli di Italia.
Sono rimasto sconcertato dalle affermazioni irrispettose del ministro Bussetti, vagamente razzista. Non ha importanza poi la precisazione successiva. Quello che ha detto rappresenta un vulnus difficilmente sanabile perché dimostra l’assenza di conoscenza del Mezzogiorno. Problemi di sistema e non solo della scuola, che è soltanto uno degli esempi, tra i più gravi, del divario tra il nord e il sud d’Italia. Un divario che questo governo penta leghista non ha intenzione di eliminare. Se consideriamo che per lo sviluppo del Sud sia il ministro Di Maio che il ministro Tria hanno affermato che tra le misure destinate al Mezzogiorno c’è il reddito di cittadinanza, è evidente che non c’è volontà di rimuovere i problemi del Sud né quelli delle sue scuole. Il nostro timore inoltre è che il processo di autonomie in corso possa aumentare la disparità scolastica le aree geografiche della nazione. Sta passando in sordina questo percorso che coinvolge il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna da una parte e il governo dall’altra. Ci sono anche altre regioni pronte a intraprendere questa strada. La regionalizzazione della scuola rischia di essere il grimaldello per la disgregazione dello Stato unitario che ha nella scuola la sua centralità e saldatura.
Come considera le affermazioni fatte da Bussetti? Docenti malpagati, demotivati e umiliati dal sistema, non sono queste criticità da prendere in considerazione?
Sono gravissime e confermano che il sistema scuola, di cui i docenti sono una parte fondamentale, è un’astrazione sulla quale si fanno tante teorie ma pochi fatti. Gli insegnanti meridionali sono spesso tra i pochi presidii dello Stato e nell’epoca della globalizzazione dovranno sempre più essere i dispensatori dell’identità italiana. Il loro ruolo è superiore a quello che gli viene assegnato dal loro ‘contratto’, peraltro ancora in attesa di essere rinnovato.
Su di loro pesano i drammi della disoccupazione, della
malavita organizzata alla ricerca permanente di nuove reclute, i ritardi infrastrutturali – a iniziare dal divario digitale – che discriminano i giovani del Sud rispetto a quelli del Nord. Evidentemente Bussetti non lo sa.
Le statistiche dimostrano poi che le scuole nel Mezzogiorno sono in condizioni disastrose sia per strutture che per tecnologia. Il tasso di abbandono scolastico è ancora imbarazzante.
In una società già pesantemente condizionata dalla mancanza di opportunità delegittimare i docenti, come ha fatto il Ministro, è un atto di irresponsabilità.
Soltanto in Italia la scuola è considerata ‘spesa’ e non investimento. Altrove, dove la percentuale del Pil destinato all’istruzione è decisamente superiore, c’è una diversa sensibilità. Noi siamo nel G8 ma investiamo in questo ambito come uno Stato del terzo mondo.
Pensa che il Ministro Bussetti debba dimettersi dopo le sue affermazioni fatte nei confronti della Scuola del sud?
Il ministro Bussetti dovrebbe innanzitutto vergognarsi e chiedere scusa. Le dimissioni dovrà presentarle se non contrasterà l’autonomia differenziata, cioè se – da Ministro dell’istruzione – farà il boia dell’istruzione italiana. Voglio poi ricordare a questo ‘statista’ che il Sud ha storicamente sfornato le migliori intelligenze della nostra nazione, seppur costrette a lasciare la loro terra per cercare fortuna altrove e che chi governa deve esaltare le ragioni della coesione e non sobillare il Nord contro il Sud. Oltretutto la modernizzazione del Sud, in tutti i settori, anche in quello della scuola, fa crescere il Nord, dove sono collocate le più grandi industrie, le imprese più intraprendenti, le Università più rinomate, il maggior numero dei centri di ricerca. Il Sud per queste realtà è un’opportunità, un investimento e un nuovo ‘mercato’.
Quindi, il presidente del Consiglio Conte intervenga subito, se non vuole intestarsi il dossier ‘dissoluzione dello Stato’ e non vuole scatenare una guerra tra regioni ricche e regioni povere.