Nel 2016 si contavano quasi 49mila docenti universitari di ruolo: 12.981 sono professori ordinari mentre 19.985 sono professori associati. I ricercatori a tempo indeterminato che lavorano nelle università sono 16mila. Oltre al corpo docente in servizio a tempo indeterminato si contano 5.162 docenti a tempo determinato. Il nuovo comparto Istruzione e ricerca comprende circa 1,2 milioni di persone. Il nuovo atto di indirizzo inviato dal Miur all’Aran sblocca il rinnovo negoziale per il triennio 2016/2018: dal 2018 la partita ha un costo di 674,98 milioni di euro per le casse dell’Erario.
Gli scatti di stipendio dei docenti universitari diventeranno da triennali a biennali con gli effetti economici che si vedranno però solo dal 2018. Un costo che vale 150 milioni di euro. Così come riporta Il Sole 24 Ore, la misura è contenuta nella bozza della manovra e dovrebbe restre anche nella versione definitiva.
La norma prevede che “con decorrenza dal 1° gennaio 2016 ed effetto economico a decorrere dall’anno 2018”, il regime di progressione stipendiale triennale per classi su base premiale dei docenti universitari diventi biennale, come era in effetti prima del 2010 quando la riforma Gelmini allungò di un anno la progressione di carriera.
Una misura, questa, con cui il Governo e la ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca, Valeria Fedeli, prova a rispondere anche alla protesta montata nelle settimane scorse negli atenei dove circa 11mila prof e ricercatori hanno aderito a un clamoroso sciopero degli esami.
Nel mirino della protesta il blocco degli stipendi del periodo 2011 – 2015: l’intervento (che costa 60 milioni nel 2018, 75 milioni nel 2019, 90 nel 2020, 120 milioni per il 2021 e 150 dal 2022 in poi) non recupera il pregresso, ma guarda al futuro e punta – come avverte la bozza della manovra – a favorire soprattutto i giovani (anche in chiave pensionistica) che sono stati più penalizzati.
La misura basterà a far rientrare la protesta dei docenti e il blocco degli esami? Le prime reazioni non sono positive. “Valuteremo la prosecuzione della protesta e l’eventuale blocco degli esami nelle prossime sessioni”, afferma Carlo Ferraro che insegna al Politecnico di Torino e coordina il movimento per la dignità della docenza universitaria. “Se la misura rimanesse così sarebbe insoddisfacente, noi chiedevamo la decorrenza economica dal 2015”, aggiunge.
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