E’ bastato che i due maggiori sindacati confederali iniziassero a parlare di un possibile sciopero (magari unitario) contro l’ennesima manovra del Governo per far decidere ai sindacati di base di rompere gli indugi, nel tentativo di creare qualche difficoltà per individuare date adatte ad altre iniziative.
E così il 17 novembre, giornata internazionale dello studente, data in cui il Sisa aveva già previsto uno sciopero nazionale della scuola, ci sarà anche uno sciopero generale indetto dai Cobas con la parola d’ordine “No alla letteraccia e la diktat franco-tedesco” (la “letteraccia” è, ovviamente, quella che il presidente Berlusconi ha consegnato ai vertici europei di Bruxelles e che contiene gli impegni in materia economica che dovranno essere trasformati in misure concrete nelle prossime settimane).
“La letteraccia – scrivono tra l’altro i Cobas – è il proclama di un ulteriore massacro sociale in quanto contiene la piena libertà di licenziamento in tutti i settori lavorativi oltre che l’annullamento dei contratti nazionali e dei diritti del lavoro e il peggioramento ulteriore del sistema pensionistico”. E, per venire alla scuola, prevede che “il pagamento degli insegnanti e il finanziamento alle scuole siano basati sui grotteschi quiz Invalsi”.
Esattamente 15 giorni dopo, il 2 dicembre, ci sarà poi lo sciopero generale indetto da Unicobas, Slaicobas, USB e Snater.
Anche in questo caso lo sciopero è legato ”alle ultime decisioni del governo contenute nel documento inviato alla Comunità Europea e da essa approvato, che prevedono la conferma delle precedenti manovre del governo italiano di luglio ed agosto 2011 ed ulteriori misure su licenziamenti, privatizzazioni e peggioramento delle condizioni di lavoro del personale del pubblico impiego e della scuola (anche con l’accorpamento selvaggio degli istituti), compresa la riduzione del personale, la cassa-integrazione, la mobilità obbligatoria e la possibilità di licenziare”.
A questo punto Cisl e Cgil, se volessero proclamare uno sciopero proprio, sarebbero forse costretti ad aspettare almeno il 10 dicembre (fra una azione e l’altra, infatti, deve intercorrere almeno una settimana). Si tratta, insomma, del solito copione che si è visto più volte negli ultimi anni.
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