Giovedì scorso Roma, negli splendidi locali del Macro Asilo (Museo d’arte contemporanea) di Via Nizza, la presentazione del saggio “La grande rimozione. Il ’68-77: frammenti di una storia impossibile”, del Professor Raul Mordenti.
Dopo gli interventi di Alberto Olivetti (Professore ordinario di Estetica all’Università degli Studi di Siena) e di Ivano Di Cerbo (della Fondazione Luigi Pintor), Mordenti (Professore ordinario di Critica letteraria all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, nonché scrittore e politico), ha presentato il proprio libro e risposto alle domande del pubblico.
Con uno stile di scrittura fluido e godibilissimo, totalmente privo di qualsiasi intellettualistico paludamento, il libro smonta pezzo per pezzo tutti i luoghi comuni con cui il Potere ha svilito o demonizzato il “decennio rosso” e la generazione che l’ha fatto vivere: generazione derisa e colpevolizzata dall’establishment, forse perché rea di aver fatto un po’ di paura all’establishment stesso con la prospettiva di quella rivoluzione italiana che non si è ancora mai concretizzata.
Nel suo libro Mordenti paragona quanto accaduto in Italia e nel mondo nel 1968 con il brivido rivoluzionario che scosse l’Europa nel 1848: «Il ’48 (proprio come il ’68) esplose, quasi simultaneamente ovunque, al tempo in tutta Europa: cominciò a gennaio la Sicilia, e poi a febbraio Parigi, e via via Francoforte, Vienna, Venezia, Milano, Praga, Torino, l’Ungheria, la Toscana, etc.; e tuttavia nel ’48 (come nel ’68) questa simultaneità non derivava da una centrale direttiva comune ma solo (solo?) da cause profonde, dal maturarsi di movimenti sotterranei. E ancora: il ’48 (proprio come il ’68) sembrò volere tutto, puntò molto in alto e parve perfino vincere, ma in effetti fu sconfitto ovunque.
Tuttavia, dopo il ’48 (come dopo il ’68) nulla fu più come prima. La fine della Restaurazione era segnata, anche se dal ’48 la Restaurazione uscì ovunque vittoriosa: ma solo apparentemente. Infatti c’è da chiedersi quanto vera e duratura sia stata quella serie sanguinosa di vittorie, giacché soggetti storici del tutto nuovi e storicamente incomprimibili erano ormai apparsi sulla scena.
Così dopo il ’68: la fine dell’assetto capitalistico dell’Europa sembra segnata, anche se dal ciclo di lotta del ’68 tale assetto usci ovunque vittorioso. Apparentemente».
In effetti, a guardare il panorama globale oggi, non c’è da rallegrarsi della sconfitta della generazione del Sessantotto e dei suoi ideali: guerre, fame, disperazione ovunque; opulenza per pochissimi, miseria per la maggioranza dell’umanità; e la catastrofe ambientale come prospettiva imminente.
La Tecnica della Scuola ha intervistato l’Autore:
Professor Mordenti, oggi la Scuola italiana è molto cambiata rispetto agli anni Settanta: impiegatizzazione e precarizzazione dei docenti, ristrutturazione aziendale, gerarchizzazione, “invalsizzazione”, sottomissione della Scuola alle logiche del mercato: in che modo il suo libro può risultare utile ai docenti per comprendere quanto accaduto alla Scuola negli ultimi 40 anni?
Domanda difficile e affascinante. Vorrei dare tante risposte. Anzitutto potremmo dire che quanto succede alla scuola oggi è semplicemente la sconfitta delle istanze dei movimenti che — non solo nel 1968, ma anche negli anni successivi — si sono manifestati nella Scuola. Infatti, la privatizzazione è semplicemente il contrario della difesa e del rilancio della scuola pubblica; in particolare, è il contrario della difesa del diritto allo studio. Questo è il primo nesso.
Il secondo è quello che io chiamo “il lungo ‘68”, che ne è forse la parte più interessante, determinante e duratura: mi riferisco al fatto che il ‘68 è uscito dalla Scuola (ma anche dalle fabbriche) come fosse un fiume, che ha fecondato la società italiana. Difatti una serie di professioni e di mestieri sono stati rivoluzionati: nel senso che l’ipotesi era di cambiare qui e subito, senza aspettare chissà quale “ora X”. E questo ha dato origine a “Magistratura Democratica”, “Medicina Democratica”, all’esperienza di Franco Basaglia. E, soprattutto nella Scuola, ha dato vita ad una lunga resistenza, ad una lunga opera di democratizzazione della Scuola stessa: opera che è ricaduta per intero sulle spalle degli insegnanti.
In questo senso è significativo che, tanti anni dopo, ancora questo fantasma aleggi dei nostri gruppi dirigenti irresponsabili; i quali, nel procedere alla distruzione della scuola, tentano di vendicarsi di questa paura inflitta loro da alcune generazioni di insegnanti (e non solo) con il proprio lavoro generoso ed importantissimo a tutti livelli. Cito le centocinquanta ore, ma potrei citare il tempo pieno, il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), la sperimentazione. La Scuola italiana è stata una Scuola democratica, e questo è molto importante. Ed è questo che oggi si tenta di distruggere
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