Mi viene da aggiungere che è anzitutto grazie alla scuola, pur nelle sue note difficoltà, che cerchiamo di testimoniare ogni giorno le parole del Presidente.
Il 2 giugno del 1946, dunque, come data simbolo della nascita del nostro sistema Paese, che anticiperà di due anni la nostra bella Costituzione.
Sarà il “principio persona”, con il conseguente “principio responsabilità”, a disegnare le varie parti di questa Costituzione, sperando che possano trovare accoglienza poi nella vita reale.
La cornice sarà la democrazia rappresentativa, più volte, nei decenni successivi, messa in discussione.
Eppure imprescindibile, proprio per quel principio-persona.
Grandi momenti di solidarietà e grandi momenti di narcisismo e di arroganza del potere fine a se stesso hanno segnato questa nostra fragile democrazia.
Forse che, una volta fatta l’Italia, per riprendere una retorica risorgimentale, rimaneva ancora da fare gli italiani?
La scuola ha fatto il suo compito, per questo destino comune, ma la scuola da sola non può tutto.
Non può cioè sostituirsi al compito che deve trasversale di presa di coscienza, appunto, di un destino comune oltre i mille interessi individuali, di clan, di gruppi di interesse, di casta.
Resta lo sfondo assistenzialistico, deresponsabilizzante, che ci ha sempre accompagnato, un vero legno storto del nostro sistema Paese.
Le divisioni e le criticità allora avvertite sono ancora le nostre, purtroppo.
Ricordo solo le parole, riprese ieri, di Andrea Crisanti, artefice del modello Veneto sulla prima fase del coronavirus: dopo le esperienze a Basilea, Heidelberg e Londra, da meno di sette mesi tornato in Italia, ha visto che mancano in Italia “la cultura della trasparenza, del merito e della competenza, che in Inghilterra esiste e qui in Italia fatica ad essere riconosciuta.”
Qui la scuola potrebbe dire tante cose, se non fosse in mano ad un sistema centralizzato, incapace di orientare e gestire una organizzazione periferiche che impiega, seconda agenzia al mondo dopo il Pentagono, un milione di addetti.
Quale trasparenza, quale etica della responsabilità, quale cultura del merito?
Forse che sia questa la radice delle difficoltà attuali?
Riprendo la felice sintesi di uno studioso veneto non accademico, Romano Zanon:
1. L’ormai totale assenza di fiducia reciproca tra cittadino e istituzione, oltre alla mancanza di rispetto, altrettanto reciproca;
2. La grande cortina burocratica, una sorta di muschio o erbaccia che si insinua tra le fessure riuscendo ad aprire crepe anche nel cemento;
3. La caduta libera della rappresentatività, nonché il gioco dello scaricabarile, estesi ovunque, pandemici;
4. La corruzione, l’evasione fiscale, la malavita organizzata che riescono a fiorire non troppo disturbate ed estremamente nocive, tossiche.
Questi elementi, aggiunge Zanon, possono innescare la fine stessa di ogni democrazia, di ogni repubblica, di ogni struttura sociale; sono come il detonatore e l’esplosivo, solo che mancano movente e dinamitardo. E sono soprattutto dei rallentatori, degli inneschi della paralisi già fomentata dall’eccessiva concentrazione di ricchezza sterile che colpisce tutto il mondo.
Come si vede, parole essenziali, che sappiamo da subito essere vere.
E gli italiani? A modo nostro, precisa sempre Zanon, ci siamo, un poco cialtroni e disseminati di varianti non solo dialettali, però ci siamo. Difficili da controllare e governare, anche se solidali e generosi. Pecoroni e assieme creativi, spontanei, empatici, volonterosi.
Ah, se questo 2 giugno fosse inteso, vista la tragicità di questi mesi, come un nuovo inizio per la nostra società e per le nostre istituzioni!
Oggi non è nemmeno una vera festa, conclude Zanon, i negozi apriranno, il libero mercato di cose e persone governa il mondo, un freddo algoritmo che non conosce la storia confezionata dai perdenti, intrisa di sacrifici e condita di passioni. È all’oscuro di tutto, un narcisismo onnipotente che ignora l’uomo e le sue conquiste, così le calpesta per noncuranza. E noi glielo lasciamo fare.