L’anno che sta per concludersi – oltre a pandemia, Dad e DID, banchi nuovi con o senza rotelle – ha visto anche alcune importanti decisioni della Magistratura in materia scolastica.
Il gradone “da 3 a 8”
Il CCNL di comparto originariamente prevedeva il primo scatto di anzianità a partire dal 4° anno di servizio.
Con l’accordo del luglio 2011, si decise di abolire la fascia stipendiale “da 3 a 8”, in modo da corrispondere gli aumenti per i nuovi assunti solo dopo il 9° anno di servizio, lasciando però in vigore la precedente progressione stipendiale per coloro che erano già stati assunti.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2924 del 7 febbraio 2020, ha ritenuto illegittima tale disposizione, ritenendo che la fascia stipendiale “da 3 a 8” deve continuare a trovare applicazione anche per gli assunti dopo il 2011, a condizione che abbiano prestato servizio anche non di ruolo prima del 2011.
Il riconoscimento del servizio militare
I vari decreti ministeriali emanati in materia di graduatorie stabiliscono che il servizio militare (compreso quello sostitutivo) può essere valutato solo se prestato “in costanza di nomina”, circostanza piuttosto improbabile, essendo alquanto difficile ottenere una supplenza all’età di 20/25 anni.
Da ciò, l’innescarsi di un vasto contenzioso, cui la Cassazione ha messo la parola fine, con ordinanza n. 5679 del 2 marzo 2020, con la quale ha decretato la valutabilità del servizio militare (e di quello equiparato) anche se non prestato in costanza di nomina.
L’assegnazione di docenti alle classi
La Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi anche su una questione molto calda, vale a dire l’assegnazione di docenti alle classi, spesso oggetto di lamentele da parte dei docenti.
Con ordinanza n. 11548 del 15 giugno 2020, la Corte ha ricordato che il dirigente scolastico non ha un potere discrezionale nell’assegnazione dei docenti, essendo comunque tenuto a rispettare i criteri stabiliti dagli organi collegiali, in particolare quello della continuità didattica.
La libertà di insegnamento
Sembra strano che la libertà di insegnamento – garantita dall’art. 33 della Costituzione – possa essere messa in discussione in uno Stato democratico.
Ciò è comunque accaduto nel caso della professoressa di Palermo, balzata agli “onori” delle cronache per aver assegnato ai propri alunni un elaborato in formato slide sui diritti civili.
Tale lavoro era parte integrante di un percorso didattico cominciato durante l’estate, con l’assegnazione di alcune letture, in occasione del Giorno della memoria e dopo la discussione sulla “Giornata del migrante”.
Nella presentazione, preparata in totale autonomia dagli studenti, era però accaduto che figuravano due slide con l’immagine di Salvini, con un evidente accostamento tra la promulgazione delle leggi razziali e l’approvazione del “decreto sicurezza”.
La sospensione dal servizio della professoressa
Tanto era bastato per ordinare un’ispezione ministeriale, cui faceva seguito la sospensione dal servizio della docente, accusata di omessa “sorveglianza”, ma più velatamente di aver consapevolmente ispirato e manipolato gli allievi.
Il Tribunale di Palermo ha osservato come l’elaborato redatto dagli alunni in totale autonomia costituisca in realtà un’espressione della libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita dall’art. 21 della Costituzione, i cui soli limiti sono costituiti dal rispetto delle norme penali e del buon costume.
Pertanto, non solo alla docente non poteva essere imputata alcuna contestazione in ordine ad una presunta “omessa vigilanza”, ma – proprio perché il controllo del docente non può che limitarsi al rispetto di tali limiti- qualora la professoressa avesse in qualche modo “censurato” l’elaborato multimediale realizzato dagli allievi, avrebbe a sua volta violato la libera manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 della Costituzione (Tribunale di Palermo, sentenza n. 3907 del 14 dicembre 2020).