Quanti dipendenti pubblici passeranno dallo Stato centrale alle Regioni che hanno ottenuto l’autonomia? “La Lombardia ha 412 mila lavoratori del pubblico impiego. I dipendenti regionali e quelli della sanità sono circa 166 mila in tutto, gli altri 246 mila fanno capo allo Stato centrale. In Veneto ci sono 226 mila dipendenti, 32 mila circa della Regione e 60 mila della sanità. Gli altri 134 mila sono comandati dallo Stato. In Emilia Romagna i numeri sono simili: 227 mila dipendenti totali, circa 100 mila dei quali già in capo alla Regione”.
Il Messaggero fa i conti dei dipendenti pubblici, scuola compresa, che fra pochi giorni dovrebbero passare dalla dipendenze dello Stato a quello delle Regioni del Nord.
Scrive il quotidiano romano: “Personale docente e non docente rappresenta il 30% circa dei dipendenti statali. Se passasse in capo alle Regioni il Veneto, per esempio, si troverebbe a gestire 70 mila dipendenti in più in un sol colpo, ricevendo le risorse necessarie per il pagamento degli stipendi. Se tutte e tre le Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata seguissero questo modello, il ministero della pubblica istruzione si troverebbe con quasi 240 mila dipendenti in meno. Un taglio del suo personale del 20%. E se è vero che si tratterebbe di lavoratori che già operano in quelle regioni, è altrettanto evidente che la stessa struttura ministeriale romana finirebbe per essere sovradimensionata. Il Veneto, per esempio, potrebbe “accontentarsi” di inserire nei suoi ruoli, soltanto i professori neo assunti.
Chi oggi dipende dallo Stato, rimarrebbe sotto il cappello del ministero dell’Istruzione. Anche se i pagamenti degli stipendi potrebbero passare dal Tesoro alla Regione. E anche qui, si potrebbe aggiungere, non senza effetti sull’attività di via XX settembre che comunque verrebbe ridotta. «Il problema», spiega Marco Cammelli, dell’Università di Bologna, grande esperto di federalismo, «è proprio questo: ci si occupa solo dei trasferimenti, non di quel che resta. È un trasferimento per sottrazione. Ciò che rimane al “centro” è in un cono d’ombra, con l’illusione di continuare a gestirlo come è gestito adesso. Ma come si può pensare», si chiede il professore, «che gli apparati ministeriali, la conferenza Stato-Regioni, le stesse commissioni parlamentari possano rimanere inalterate difronte a questa differenziazione?».
Secondo Andrea Filippetti e Fabrizio Tuzi, due economisti del Cnr, per cinque delle 23 competenze (15 per l’Emilia Romagna) richieste dalle Regioni, il costo sarebbe di 1,2 miliardi, ma senza il personale. Se si aggiungessero i dipendenti si salirebbe di 10 miliardi, che potrebbero raddoppiare considerando tutte le altre competenze arrivando, appunto, a 21 miliardi. Prendere il personale, insomma, è un punto cruciale.
Negli ultimi anni, spiegano Unindustria e Ambrosetti, «sono stati fatti tagli ai bilanci che hanno destrutturato la macchina statale senza però riformarla». Un piano che il regionalismo differenziato renderà ancora più inclinato.
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