Nel 2016, in Italia la quota dei giovani tra i 15 e i 29 anni in condizione di «Neet», giovani non più inseriti in un percorso scolastico o formativo, ma neppure impegnati in un’attività lavorativa era del 24,3 per cento, contro un valore medio europeo del 14,2 per cento, e nettamente superiore a Germania (8,8 per cento), Francia (14,4 per cento) e Regno Unito (12,3 per cento).
Lo dice l’Istat nel consueto rapporto annuale.
Con riferimento ai gruppi sociali, le più alte incidenze di Neet si riscontrano in quelli delle anziane sole e giovani disoccupati (41,7 per cento), delle famiglie a basso reddito con stranieri (33,2 per cento) e di quelli a basso reddito di soli italiani (31,5 per cento). Di contro, i gruppi con la minore incidenza dei Neet sono quelli della classe dirigente (9,8 per cento), delle famiglie di impiegati (13,9 per cento) e delle pensioni d’argento (15,5 per cento).
Per quanto riguarda invece l’abbandono scolastico: nel 2016, il tasso medio della Ue era del 10,7 per cento. I paesi con i valori più elevati, intorno al 20 per cento, erano Malta, Spagna e Romania, mentre l’Italia, con un valore del 13,8 per cento, era al sesto posto
nella graduatoria degli abbandoni.
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Rispetto al 2008, in Italia il valore dell’indicatore si è ridotto di quasi 6 punti. Nel 2016 i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente gli studi sono 575 mila. L’incidenza media di abbandoni, si legge sul Sole 24 Ore che riprende i dati Istat, è maggiore tra gli uomini (16,1 per cento in confronto all’11,3 delle donne). Le differenze territoriali sono marcate: il fenomeno è molto più diffuso nel Mezzogiorno (18,4 per cento) rispetto al Nord e al Centro (circa il 10 per cento in entrambi i casi).
La scelta di abbandonare gli studi precocemente può essere associata a una domanda di lavoro che distoglie i giovani dal compimento del loro percorso formativo, ma è anche, e più spesso, indicatore di un disagio sociale che si concentra, per l’appunto, nelle aree meno sviluppate del Paese.
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