Si sono sentite tante considerazioni su questo settantacinquesimo anniversario del 25 aprile vissuto necessariamente in modo diverso dal solito, ma non per questo diverso in quello che rappresenta.
Non mi soffermerei molto sule osservazioni ormai consuete (diciamo con cadenza annuale) di Ignazio La Russa che come tanti suoi colleghi di FdI afferma che questa celebrazione non deve essere divisiva (in effetti nel’Italia repubblicana nata proprio dalla resistenza al nazi-fascismo dovrebbe essere cosi‼) ma ricordare i “caduti” di tutte le parti in causa. Per carità, ognuno può ricordare come vuole, ma si chiama Festa della Liberazione perché da qualcosa ha liberato il popolo italiano: dal fascismo e dall’occupazione nazista.
In più quest’anno La Russa auspica che il 25 aprile diventi una giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre, senza esclusione alcuna. E invita a cantare la canzone del Piave (probabilmente al posto della tradizionale “Bella ciao”, la canzone dei partigiani), “che da sempre – dice l’esponente di FdI – le Forze armate dedicano ai caduti di ogni guerra”.
A parte che la “canzone del Piave” è un testo patriottico inserito nel contesto della I guerra mondiale, quindi non so quali siano i riferimenti di La Russa che dice essere dedicata “ai caduti di ogni guerra”, qui si sta parlando di una data precisa, il 25 aprile, presa come simbolo perché rappresentò il momento nel quale il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai) proclamò l’insurrezione generale dei territori ancora occupati, chiedendo alle forze partigiane di imporre la resa a fascisti e nazisti prima dell’arrivo delle truppe alleate, che avanzavano verso Milano attraverso la Pianura Padana.
Perché in effetti la resa definitiva delle milizie nazi-fasciste presenti in Italia avvenne il 29 aprile con gli accordi siglati a Caserta, che vennero attuati a partire dal successivo 2 maggio. Ecco perché la scelta del 25 aprile come data celebrativa assunse un significato preciso: sottolineare il ruolo essenziale del fronte partigiano italiano, che peraltro raccoglieva convinzioni politiche molto differenti tra loro (comunisti e socialisti, democristiani, liberali, anarchici, repubblicani, ma anche gruppi di monarchici, a parte antifascisti “senza etichette”) ma uniti nella lotta di resistenza e di liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupante nazista.
Dicevo che in fondo nessuna sorpresa destano le dichiarazioni dei “soliti noti” né tantomeno di alcuni “nostalgici” del ventennio fascista (anche se la maggior parte di loro non era neppure nata), che per contrastare tale ricorrenza tirano fuori periodicamente anche alcuni eccessi (ovviamente deprecabili, deplorevoli) che ci furono nel contesto di azioni di qualche gruppo partigiano accecato dalla vendetta o magari da ideologie di diverso “colore” totalitario. Episodi che però non possono inficiare il valore storico, politico e sociale che ha avuto per gli italiani la Resistenza e la lotta di Liberazione. E che non possono giustificare tentativi di revisionismo su quel periodo storico, sul fascismo, sulla lotta di Resistenza, sulla Liberazione.
Invece qualche attenzione la dedicherei ad altre “sfumature”, come quella per esempio di coloro che auspicano “una data liberata da certe retoriche” o da “vecchie ideologie”: ma tutti coloro che hanno preso parte fattivamente alla lotta di Liberazione avevano le proprie ideologie che poi il tempo pian piano ha probabilmente smussato (non so se sia stata una cosa del tutto positiva, visto che la conseguenza è la “società liquida” in cui viviamo e il sistema imposto dal neoliberismo e dalla speculazione finanziaria). O si vuole forse ridiscutere il modello di progresso sociale che è maturato nei decenni successivi, con le contestazioni giovanili e i sindacati che hanno contribuito (ma adesso …dovrebbero recuperare il loro spirito originario!), con le lotte dei lavoratori, a determinare condizioni di lavoro migliori e appunto progresso sociale?
Ce ne fossero oggi di personalità come quelle emerse nel dopoguerra e che avevano partecipato alla rinascita dell’Italia. Fra questi il socialista Sandro Pertini, di cui quest’anno si è celebrata la ricorrenza del trentennale della sua morte, passata abbastanza inosservata anche perché coincisa con l’inizio nel nostro Paese di questo tragico periodo di emergenza sanitaria. Una vita piena di impegno sociale e politico: da oppositore del regime fascista (passò 14 anni tra carcere e confino) e poi partigiano a difensore della Costituzione nata dalla Resistenza, sino a Presidente della Repubblica. E Pertini fu “un politico di imparagonabile spessore rispetto a tantissimi ‘politicanti’ di oggi: figure impresentabili e mediocri, figurine sbiadite o del tutto inconsistenti, ‘figuracce’ di arroganti e presuntuosi”, come scrissi in un articolo che ricordava la figura di Sandro Pertini.
A chi chiede di “liberare la Liberazione” dovrebbero bastare le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha ricordato che il 25 aprile “è la data fondatrice della nostra esperienza democratica di cui la Repubblica è presidio con la sua Costituzione”. Carta costituzionale che come il 25 aprile… non è “interpretabile”: è quella che c’è scritto!
E poi come dimenticare i combattenti “morti per la libertà”? E bisogna storicamente distinguere fra chi stava dalla parte della libertà e chi con i nazi-fascisti.
Infine, sul 25 aprile voglio proporre una canzone di Francesco Guccini (“Quel giorno di aprile”) che forse più di tante parole “fotografa” il senso di gioia e liberazione, ma anche le attese e le speranze (non tutte poi concretizzate) che scaturivano da quella festa in cui sventolavano “nel cielo bandiere impazzite di luce” e forse “quel giorno di aprile” si è allontanato troppo rapidamente.
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