La Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, per la prima volta, fu istituita il 17 dicembre 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Da allora, rappresenta il momento più importante dell’anno per parlare, informare e sensibilizzare su questo grave problema che riguarda tutti i Paesi del mondo.
Una data scelta non a caso, poiché in questo stesso giorno, 25 novembre del 1960, furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana.
La violenza sulle donne ha molti volti: dai reati come la violenza fisica a quella sessuale, lo stupro, senza dimenticare la violenza psicologica.
In Italia e nel mondo subisce violenza, mediamente, una donna su tre dai 15 anni in su. Il timore della violenza è confermato dal dato secondo il quale il 53% di donne in tutta l’Unione Europea afferma di evitare determinati luoghi o situazioni per paura di essere aggredita.
Un atto di violenza contro le donne può accadere ovunque: dentro le mura domestiche, sul posto di lavoro, per strada.
Sono spesso i partner o gli ex partner a commettere gli atti più gravi: in Italia sono, infatti, responsabili del 62,7% degli stupri. Una lunga scia di violenza che può culminare con l’estrema conseguenza: il femminicidio. Nel 38% dei casi di omicidi di donne, il responsabile è, ancora una volta, il partner.
Educare al rispetto della persona e dei diritti delle donne, contrastare gli stereotipi di genere che sono alla base di una visione errata di donne e uomini nella società; anche questa è una mission della scuola e anche per questo viene chiesto alle istituzioni risposte efficaci e fondi per sostenere il lavoro dei centri antiviolenza.
Scuole, Università, Enti di Ricerca, Accademie e Conservatori, luoghi privilegiati della socializzazione, del pluralismo culturale, della formazione, hanno il compito -fa presente la Flc-Cgil- di promuovere la conoscenza e il rispetto delle differenze, combattere pregiudizi, offrire modelli positivi, a partire da un uso corretto e responsabile delle parole.
“Educare contro la violenza di genere significa anche decontaminare il codice linguistico dalla pratica diffusa dei commenti osceni, dei doppi-sensi volgari, degli intercalari che umiliano e offendono la donna in quanto tale, rappresentandola come oggetto del desiderio e del potere dell’uomo; significa denunciare e rifiutare espressioni che legittimano mancanza di rispetto, denigrazione della sessualità e della libertà femminile, creando spazi di aggressione simbolica in cui nascono e crescono vere e proprie forme di violenza fisica e psicologica.
“Vuol dire, soprattutto, insegnare che la relazione tra le persone è per scambiarsi idee e opinioni crescendo nella diversità ma nel merito delle cose, senza trasformare l’avversario, ma più sovente l’avversaria, in un bersaglio deviato di ingiurie a sfondo sessista secondo quella pratica nata coi social che si rivela una scorciatoia per i poveri di argomenti e i vigliacchi di azione”.
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