Il 27 gennaio 1945, dopo aver forzato i cancelli di Auschwitz, agli occhi delle truppe liberatrici si presenta un orrore dalle proporzioni indescrivibili. Montagne di cadaveri insepolti, oltre quelli asfissiati nelle camere a gas ed inceneriti nei forni crematori. Nei campi del centro Europa erano state sterminate, in tre anni, 15 milioni di persone, di cui 6 milioni di ebrei. E’ innegabile. Tutto ciò crea malessere in quanto ripropone, puntualmente, la parte oscura di noi. Una sorta di “buco nero” che offusca la stima che nutriamo per la civiltà.
“E’ accaduto, quindi può accadere di nuovo”, ha scritto Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, nel prologo del suo libro “Se questo è un uomo”. Ma, perché è accaduto? E perché il mostro dell’odio antisemita si ripropone di nuovo? E’ questa l’ardua domanda che gli studenti mi rivolgono ogni volta: “Perché è successo tutto questo? E perché contro gli ebrei?”.
Cerchiamo, per quanto è possibile, di capire. Possiamo utilizzare i quattro schemi classici di spiegazione. Confesso, però, che nessuno di essi, da solo, convince completamente. Né lo “schema culturale” della divisione dell’umanità in razze il quale, a metà del Novecento, in mancanza di supporti scientifici, era sostenuto da pensatori di grido. Né lo “schema economico”, secondo cui gli ebrei, capitalisti e professionisti facoltosi, costituivano la vittima ideale da depredare a beneficio dello Stato nazista.
Né lo “schema religioso”, basato sulla secolare avversione dei cristiani verso gli ebrei, considerati “popolo deicida” e “senza terra”, nemici naturali della Cristianità. Né, infine, lo “schema psico-sociologico” di Theodor Adorno secondo cui, noi spesso tendiamo ad identificarci col modello dominante, perché rappresenta la parte vincente di noi, contro chiunque è debole, in quanto, il debole ci ripropone, invece, la nostra parte perdente. Tale schema, certamente, può aiutare a comprendere l’atteggiamento anaffettivo di molti delinquenti. In ogni caso, più che ad individuare una categoria di persone, esso serve a smascherare un meccanismo emotivo che ci riguarda tutti.
Ma, alle quattro spiegazioni appena esposte, vorrei aggiungere la tesi dello smarrimento coscienziale avanzata, in modo diverso, da due filosofi: Benedetto Croce e Jacques Maritain. Per Maritain, i totalitarismi del secolo ventesimo vanno interpretati come l’ultimo tentativo di recuperare quell’unità coscienziale che l’Occidente aveva perduto con la frantumazione delle due istituzioni universali del Medioevo, l’Impero e la Chiesa, e la conseguente scomparsa del sistema unitario di valori. I regimi totalitari avrebbero ricreato, di conseguenza, una certa unità coscienziale.
La spiegazione di Maritain è tutt’altro che strana ed improbabile.
L’umanità, nel corso della storia, ha sempre aspirato a costruire sistemi unitari di significato. Del resto, il controllo sociale, prima che sulle leggi e sulle forze dell’ordine, poggia sui valori. Inoltre, le debolezze morali dei singoli tendono ad ingigantirsi in presenza di un generale annebbiamento dei valori stessi. In particolare, c’è un valore che funge da segnale per valutare la tenuta di un sistema sociale. Il concetto che abbiamo dell’uomo.
La cultura materialista, che caratterizza la nostra epoca, fa fatica a riconoscere nell’uomo, quel soggetto spirituale capace di andare oltre la realtà materiale, grazie al suo intelletto. Prevale oggi la concezione secondo cui l’uomo è solo una parte, anche se più evoluta, del tutto. E non più il centro ed il fine del mondo, come hanno sempre creduto la cultura classica e cristiana. Domina, inoltre, la convinzione che l’unico senso della vita sia quello del ciclo della materia. L’uomo nascerebbe dalla materia e si dissolverebbe nella materia come il resto dell’universo. E’ ciò che Nietzsche, padre e profeta dell’attuale stagione culturale, definisce la “felicità del circolo”.
Ma, tale concezione, valida per vegetali ed animali, non funziona per l’essere umano. L’uomo è un essere consapevole, in modo intellettivo, della realtà e, per vivere, ha bisogno di una speranza che vada oltre tutte le sue angosce. Una cultura fondata sulla sola evidenza percettiva, povera di assoluti supremi, genera disorientamento. Soprattutto, nei giovani, esposti, in particolare, alla deriva delle droghe e della violenza eteropunitiva ed autopunitiva.
Infine, va detto che c’è una tesi biblica, secondo la quale, nell’odio antisemitico, vi sarebbe anche un fondamento teologico. Edith Stein, la filosofa ebrea tedesca divenuta monaca di clausura e morta ad Auschwitz, si chiedeva: “Perché i tedeschi? Perché gli ebrei?”. Come dire, perché Dio sceglie alcuni come carnefici ed altri come vittime. Tuttavia, questa non è più storia. Diventa mistero, in qualche modo, oscuro, impenetrabile.
Ma, spieghiamo, in breve, tale teoria. La Bibbia c’insegna che il popolo ebreo è il primo popolo della terra. Da esso provengono tutti gli altri popoli. Ogni uomo, di conseguenza, puntando il dito sul proprio petto, potrebbero dichiarare: “Anche io sono ebreo”. Israele rappresenta, quindi, l’eterno Adamo, ricapitola tutto il genere umano. Israele equivale all’uomo. Così come Cristo si è definito il “Figlio dell’uomo”, cioè l’uomo. Ne deriva che l’avversione verso gli Ebrei, secondo alcuni, racchiude l’enigma stesso dell’odio sconfinato del Tenebroso verso l’umanità. Vengono i brividi a parlare di queste cose. Stiamo indagando, infatti, su ciò che Jacques Maritain definiva il “mistero di Israele”.
Ci troviamo di fronte alla mano che strappa i sigilli che chiudono la pergamena della storia, svelandone il segreto. Afferma san Paolo che gli ebrei, rifiutando il Figlio di Dio, hanno bloccato la storia, generando, però, una conseguenza provvidenziale. Infatti, con il rifiuto del Cristo, Israele ha trasferito la salvezza a tutte le genti. Così, la sua finale accettazione del Cristo, prevista da Paolo come segno premonitore della parusia, provocherà addirittura il ritorno del Signore sulla terra.
D’altro canto, la persistenza di Israele nel rifiuto costituisce, sempre secondo Paolo, l’ostacolo che blocca la storia umana e che impedisce al Cristo di rivelarsi. In altri termini, l’ostinazione degli Ebrei, rappresenta il “katékon”, l’impedimento che trattiene il ritorno di Gesù (2 Ts, 2,6).
Se lo sapessero quei poveretti che giocano a fare gli antisemiti … Essi ignorano, infatti, che gli Ebrei, costituiscono l’inizio e la fine della storia, nonché la chiave risolutiva del destino umano.
Luciano Verdone
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