Ma c’è in Italia questa sorta di sindrome di scontro culturale Islam-Occidente? O è solo una invenzione di certi partiti politici per conquistare proseliti e quindi qualche voto in più per avere maggiori rappresentanti nei parlamenti nazionali e regionali? E se c’è, come si vince? E cosa può fare la scuola per una civile convivenza fra visioni diverse del mondo? I fatti di Parigi, e non solo, pongono ancora una volta la scuola al centro dell’interesse nazione e in modo particolare i docenti che ne sono l’asse portante e la chiave di volta per il mantenimento delle sue architravi. E ancora: saranno in grado gli insegnanti italiani di trovare le parole giuste per spiegare ai loro alunni marocchini, siriani, pakistani, che la risposta dell’Europa agli attentati terroristici non è la guerra dell’Occidente contro la cultura dei propri genitori che ogni venerdì vanno a pregare in Moschea?
Se per un verso la ministra dell’istruzione Stefania Giannini invita le scuole a dedicare un minuto di silenzio alle vittime della strage di Parigi e almeno un’ora di lezione alla riflessione sui fatti accaduti, non c’è pure il rischio che i ragazzi islamici si sentano guardati con sospetto dai loro compagni italiani? Ma c’è anche un’altra domanda che ci percuote e ci scuote: se i docenti italiani sbagliano a porre nelle loro giuste valenze culturali e religiose il problema, non c’è il rischio di fare più danno di quanto invece siano le migliori intenzioni?
È vero che la scuola può essere la base comune per una corretta convivenza tra le culture del pianeta, ma quanto la nostra classe insegnante è preparata ad affrontare un problema tanto delicato e tanto pesante?
Dei semplici interrogativi che lasciamo al dibattito e alla riflessione dei nostri lettori, mentre la ministrta Giannini scrive un messaggio ai prof italiani.
Ecco il messaggio “Porta Aperta” della ministra dell’istruzione Stefania Giannini
I gravissimi fatti di Parigi rappresentano un attacco al cuore dell’Europa senza precedenti. Un attacco al quale dobbiamo subito dare una riposta, innanzitutto educativa e culturale. #PorteOuverte, Porta Aperta, è stata la parola d’ordine lanciata sui social network dai cittadini di Parigi subito dopo gli attacchi terroristici, per offrire un riparo a chi era in strada terrorizzato. Una reazione di grande civiltà e coraggio.
Porta Aperta deve essere anche la nostra risposta. Non possiamo restare indifferenti, paralizzati e chiuderci nelle nostre paure. Per questo, invito le scuole, le università, le istituzioni dell’Alta formazione artistica e musicale a dedicare, nella giornata di lunedì, un minuto di silenzio alle vittime della strage parigina e almeno un’ora alla riflessione sui fatti accaduti. Porte Aperte significa anche coinvolgere la cittadinanza, le famiglie.
Le nostre scuole, le nostre università, i nostri centri di ricerca sono il primo luogo dove l’orrore può essere sconfitto, a diversi livelli di consapevolezza, che resta l’antidoto più efficace di fronte alla violenza e a questa guerra senza frontiere e senza eserciti.
I nostri ragazzi hanno il diritto di sapere, di conoscere la storia, di capire da dove nasce ciò che stiamo vivendo in queste ore. Il nostro patrimonio di valori può essere difeso solo se le nuove generazioni sono aiutate ad uscire dall’indifferenza. Non possiamo cambiare ‘canale’ davanti a queste immagini di morte. Dobbiamo parlarne con i nostri studenti e aiutarli a capire che c’è e ci potrà sempre essere un principio di ricostruzione della nostra identità in cui credere e riconoscersi. E dobbiamo aiutarli a rifiutare, oggi più che mai, qualsiasi tentazione xenofoba o razzista. È già successo tante volte nella storia, siamo figli e nipoti di persone che hanno dato la vita per affermarlo. L’educazione è il primo spazio in cui riaffermare i nostri valori, le nostre radici, quindi la nostra libertà.
Grazie ragazzi, grazie insegnanti, professori e ricercatori per il vostro impegno e per la vostra testimonianza.
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