Attualità

39 anni fa a Palermo la strage di via Carini

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una dichiarazione rilasciata nell’anniversario del 39° degli omicidi di via Carini a Palermo, dove rimasero senza vita il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, ha sottolineato che ha voluto rendere “commosso omaggio al ricordo del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della signora Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo, vittime della ferocia mafiosa. La loro barbara uccisione rappresentò uno dei momenti più gravi dell’attacco della criminalità organizzata alle Istituzioni e agli uomini che le impersonavano, ma, allo stesso tempo, finì per accentuare ancor di più un solco incolmabile fra la città ferita e quella mafia che continuava a volerne determinare i destini con l’intimidazione e la morte. A quell’odiosa sfida la comunità nazionale nel suo complesso, pur se colpita e scossa, seppe reagire facendosi forte della stessa determinata e lucida energia di cui Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva già dato esempio, durante il suo brillante percorso nell’Arma dei Carabinieri, nell’impegno contro organizzazioni criminali e terroristiche”. 

“A quell’odiosa sfida – ha continuato Mattarella – la comunità nazionale nel suo complesso, pur se colpita e scossa, seppe reagire facendosi forte della stessa determinata e lucida energia di cui Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva già dato esempio, durante il suo brillante percorso nell’Arma dei Carabinieri, nell’impegno contro organizzazioni criminali e terroristiche. Pur nella brevità dell’incarico svolto a Palermo, il sacrificio del Prefetto Dalla Chiesa e il suo lascito ideale contribuirono ad orientare molte delle scelte che, negli anni successivi, hanno consentito un salto di qualità nell’azione di contrasto ai fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’economia e nella Pubblica Amministrazione.

“Norme e poteri di coordinamento più incisivi diedero nuovo vigore alle strategie di contrasto alla criminalità organizzata e rafforzarono la fiducia degli apparati pubblici che la combattevano; mentre, nella società civile, cresceva un sentimento di cittadinanza attiva, portatore di una cultura dei diritti contrapposta alle logiche dell’appartenenza e del privilegio. Nel ricordo di quell’estremo sacrificio, rinnovo alle famiglie Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo i sentimenti di vicinanza e partecipazione miei e dell’intero Paese”.

Ricordiamo che quel 3 settembre 1982 un anonimo cittadino lasciò un cartello sul luogo della strage, dove era scritto: “Qui è morta la speranza dei siciliani onesti”. 

Ricordiamo pure che Dalla Chiesa, subito dopo il suo trasferimento a Palermo, dopo avere sconfitto le frange terroristiche, lamenta più volte la carenza di sostegno da parte dello stato; emblematica e carica di amarezza rimane la sua frase: “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì“.

Rilascia una intervista a Giorgio Bocca per lanciare attraverso i media un messaggio allo stato, un messaggio che ha come obiettivo la richiesta di aiuto e sostegno, nella quale afferma pure la presa d’atto del fallimento dello Stato nella battaglia contro Cosa Nostra, delle connivenze e delle complicità che hanno consentito alla mafia di agire indisturbata per anni.

Tuttavia l’articolo di Bocca non suscita la reazione dello stato bensì quella della mafia che aveva già nel mirino il generale carabiniere. 

E la sera del 3 settembre 1982, Carlo Alberto Dalla Chiesa, seduto al fianco della giovane seconda moglie Emanuela Setti Carraro, a bordo una A112, in via Carini a Palermo, viene freddato  a colpi di un Kalashnikov attraverso il parabrezza. Trucidata anche la donna, subito dopo, l’auto con a bordo Domenico Russo, autista e agente di scorta del prefetto Dalla Chiesa, viene affiancata da un motociclista che gli spara.

Pasquale Almirante

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