Nella pubblica amministrazione si sarebbero sedimentate 52 forme di assenza giustificata e retribuita: lo scrive La Stampa che ha incrociato dossier della Ragioneria generale dello Stato e di Confindustria, facendone una inchiesta. Dalla donazione del midollo osseo alla comparizione in tribunale come testimone, dal volontariato per soccorso alpino all’aspettativa per i cooperanti allo sviluppo, dall’assenza per fare lo scrutatore alle elezioni ai permessi per il ricongiungimento con il coniuge all’estero.
Al netto delle ferie, scrive il quotidiano, nel 2014 (ultimi dati disponibili) un dipendente pubblico ha usufruito in media di 19 giorni di permessi retribuiti, uno del settore privato solo di 11. L’anno prima il rapporto era 19 a 13.
Secondo Confindustria, ridurre l’assenteismo del pubblico ai livelli del privato farebbe risparmiare 3,7 miliardi di euro l’anno.
L’università di Pavia ha sfornato una «guida alle assenze dal servizio» lunga 32 pagine fitte e nemmeno esaustiva. «Nel manuale – recita la premessa – sono riassunti alcuni tra gli istituti giuridici di assenza…». Segue il rimando a sei contratti collettivi (siglati tra il 2000 e il 2009), tre leggi, un regolamento, tre decreti legislativi, due decreti del governo e altrettanti del presidente della Repubblica. Tutti vigenti. Contando quelli abrogati, questa pagina non sarebbe sufficiente.
Tutte le causali, lette in una prospettiva storica, sono conquiste della civiltà del lavoro.
La maternità (introdotta per legge nel 1971) si declina in astensione obbligatoria e facoltativa, congedo parentale, permesso per visite pre-natali e per malattia del figlio entro i 3 anni o del bambino da 0 a 8 anni se con ricovero ospedaliero.
Il permesso per lutto (tre giorni) si estende fino ai parenti entro il secondo grado e agli affini (suoceri, nuore e generi). Quello per esami e concorsi può allungarsi fino a otto giorni in un anno.
Tre giorni per la grave infermità del parente.
Fino a 150 ore retribuite per la frequenza di corsi scolastici o universitari.
Diciotto per «motivi di famiglia» che includono visite specialistiche, divorzio e decesso di parenti lontani ma anche calamità naturali, adempimenti presso i vigili del fuoco e «altri gravi motivi che discrezionalmente potranno essere valutati».
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Addirittura tre anni per i dottorati di ricerca. C’è che ne inanella in serie e si fa vedere dopo una decina d’anni.
La concentrazione di parenti disabili esplode, scrive sempre La Stampa, nella scuola. Il 13% dei docenti di ruolo e il 5% dei precari beneficia dei permessi retribuiti contro una media dell’1,5% dei dipendenti delle aziende private, a parità di regole. Il record spetta ai docenti sardi: 18,27%, tasso di permessi per disabilità più che doppio rispetto ai piemontesi (8,96%). In Umbria la percentuale è il 17,17, in Sicilia il 16,75, nel Lazio il 16,36, in Puglia il 15,95 e in Campania il 15,77. Tassi sotto il 10% si registrano, oltre che in Piemonte, in Veneto (9,71%) e in Toscana (9,84%). Per il personale tecnico amministrativo (Ata) il tasso medio nazionale è del 17% con picchi del 26,27% in Umbria, del 24,78% nel Lazio e del 23,33% in Sardegna. Anche per questi impiegati il tasso più basso è in Piemonte (11,87%).
A tale proposito, scrive la Stampa, ecco un aneddoto: una professoressa che chiedeva permessi ai sensi della legge 104 per tre diversi parenti: padre, madre e sorella. In realtà si scoprì che nei 9 giorni mensili di assenza retribuita faceva un secondo lavoro. Ma in tribunale fu assolta «perché il fatto non costituisce reato».
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