Il 26 giugno di 55 anni fa, nel 1967, a 44 anni, moriva don Lorenzo Milani, indimenticata figura di uomo di cultura, pedagogista, educatore, fondatore a San Donato di una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia.
Nominato priore di Barbiana nel 1954, una piccola parrocchia di montagna, dopo pochi giorni cominciò a radunare i giovani in canonica con una scuola popolare simile a quella di San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola a in canonica ai ragazzi della scuola elementare statale.
Nel 1956 don Lorenzo rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una scuola di avviamento industriale.
Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze pastorali iniziato otto anni prima a San Donato. Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio.
Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del linfogranuloma che sette anni dopo lo portò alla morte.
Importante la scuola che fondò a Barbiana con lo scopo di rendere possibile l’ascolto della Parola e il possesso della lingua che, scriveva in una “Letta a una professoressa”, è un elemento fondamentale per arrivare all’eguaglianza degli uomini: “è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli”.
Tuttavia, oggi di quel modello, cosa è rimasto? Quali metodi e quali principi sono ancora validi e utili per la scuola?
La scuola di Barbiana è ancora aperta: oggi la frequentano gli adulti, insegnanti che vanno a formarsi sul metodo don Milani per apprenderlo da chi con quel metodo è stato educato. Per riscoprire il valore dell’I care che ancora appare intatta nelle aule di Barbiana, che non solo riassumeva il motto della scuola, ma era l’ostentato contrario del fascista e quanto mai attuale “me ne frego”.
“I care”, cioè “mi importa”, per lui significava che essere docente voleva dire preoccuparsi delle esigenze di ogni studente e aiutarlo tramite il dialogo a dargli tutti gli strumenti di apprendimento, assieme a una presa di coscienza generale sulla propria posizione nella società
Certo è difficile trovare operazioni culturali così rigorose e incisive come quella di Barbiana che fa della lingua e del suo possesso l’elemento fondamentale dell’uguaglianza umana. Non si tratta solo di denunciare la dispersione scolastica “di cui è colpevole un processo educativo che prescinde da quelle che sono le condizioni di partenza degli alunni”.
La tesi di Barbiana, quelle contenute nella “Lettera” è guidata da due convinzioni: la forza della parola e la fiducia nell’uomo, di ogni uomo che ha in sè ricchezze infinite e deve esser messo in condizione di esprimerle. La parola alla quale fa riferimento la Lettera a una professoressa è prima di tutto quella che Dio stesso ha pronunciato nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, e che non può esser ridotta al silenzio. Nella Lettera a una professoressa c’è anche una singolare efficacissima definizione della politica: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
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