Da gennaio 2020 scattano 16mila procedure di licenziamento, a fronte di 11.263 riassunzioni da parte del ministero della Pubblica istruzione. Secondo le imprese alla scadenza degli appalti è a rischio la pulizia dei plessi scolastici e la didattica.
I sindacati del settore
I vertici di ANIP-Confindustria, Legacoop Produzione e Servizi, Confcooperative Lavoro e Serviz, hanno invece dichiarato: “Chiediamo al più presto l’apertura di un tavolo istituzionale. Il Governo convochi le parti datoriali: le nostre imprese sono pronte al confronto per trovare una soluzione, ed evitare un vero e proprio salto nel buio ai lavoratori e le loro famiglie. Fermare gli appalti nelle scuole è anacronistico, dannoso per le imprese, per il mondo scolastico e per i lavoratori”.
Le ragioni contro il provvedimento
L’iniziativa unitaria è servita a spiegare le ragioni della contrarietà al provvedimento che, come prima conseguenza, vedrà 16mila procedure di licenziamento a fronte di 11263 unità che verranno riassunte, secondo il Miur, da gennaio 2020. Numero palesemente insufficiente a coprire il fabbisogno di oltre 30mila plessi scolastici in Italia.
Gli effetti della Internalizzazioni
È uno degli effetti delle cosiddette “internalizzazioni” disposte dal decreto legge 126/2019 con le “misure di straordinaria necessità e urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti”.
Considerando che il numero attuale degli addetti alle pulizie è già adesso insufficiente a coprire il fabbisogno di oltre 30mila plessi scolastici italiani, l’operazione desta non poche preoccupazioni.
Profili di incostituzionalità?
Nel decreto tuttavia emergerebbero profili di incostituzionalità, in contrasto con norme europee, i tempi di attuazione sono troppo stretti mentre il paradosso è che «il decreto viene presentato come strumento per superare il precariato, mentre assume dipendenti che già erano a tempo indeterminato presso il privato».