Una tragedia assurda, la bomba atomica su Hiroshima del 6 agosto di 76 anni fa, senza alcuna motivazione strategia o tattica plausibile, giacché il Giappone era ormai allo stremo, e lanciata sulla città giapponese con la stessa insensatezza brutale, come tutte le guerre, che rase al suolo la città tedesca di Dresda, tra il 13 e il 14 febbraio del 1945, dove centinaia di miglia di profughi s’erano rifugiati, con i bombardamenti a tappeto (1.500 tonnellate di bombe esplosive e 1.200 tonnellate di bombe incendiarie) che innescarono le cosiddette “tempeste di fuoco”: le fiamme per alimentarsi di ossigeno percorrevano chilometri e chilometri inghiottendo e incenerendo tutto ciò che trovavano al loro passaggio.
Ancora più tragica ed efferata la prima bomba atomica di 76 anni fa sganciata su Hiroshima alle 8:15 dal bombardiere B29 statunitense chiamato “Enola Gay” e che provocò, anche nel corso degli anni per le radiazioni nucleari, circa 140.000 morti. Una seconda bomba venne poi lanciata su Nagasaki il 9 agosto, decretando di fatto la fine della Seconda guerra mondiale, sei giorni dopo, con la resa incondizionata del Giappone.
Una lista coi nomi delle vittime è stata esposta dentro il cenotafio dove sono comprese le persone decedute negli ultimi dodici mesi.
Quella bomba uccise all’istante circa 70 mila persone o morirono nell’incendio che coinvolse la città per le 24 ore successive al bombardamento: questa almeno è la stima dei morti fatta dai primi soccorritori giapponesi ed è quella che è poi rimasta nei libri di storia.
Il numero reale dei morti, probabilmente, non si conoscerà mai. Migliaia di persone continuarono a morire nelle settimane successive a causa delle ustioni o per le ferite riportate nello scoppio, mentre di molte si persero le traccia, come di tanti altri che nei giorni successivi morirono a causa dell’avvelenamento da radiazioni.
Si dice che l’uomo che il 6 agosto 1945 sganciò la bomba atomica su Hiroshima, Thomas Wilson Ferebee, non si sarebbe mai sentito veramente colpevole del suo gesto e a casa avrebbe avuto appeso la foto di “Enola Gay”: “Quel giorno all’alba il mondo cambiò per sempre”, aveva fatto incidere in caratteri d’oro, sotto la fotografia.
Altra storia quella di Paul Tibbets, il pilota della “Enola Gay”, così battezzato in onore di sua madre, che subito dopo lo sgancio del “Little Boy”, avrebbe esclamato: “Mio Dio, che cosa abbiamo fatto!”. Anni dopo avrebbe pure affermato: “La gente, in guerra, viene uccisa. E noi abbiamo creato un’ arma capace di distruggere la civiltà”. E infatti neanche in lui è stato registrato né rammarico, nè rimorso.
A rendere il dramma di quella efferatezza, vogliamo ricordare il libro “Il gran sole di Hiroscima (Sadako will leben), di Karl Bruckner, pubblicato per la prima volta nel 1961e vincitore del Premio dello Stato Austriaco, del Premio letterario della Città di Vienna e della Lista d’onore Andersen, tradotto in più di trenta lingue, italiano compreso, e che alla sua uscita fu adottato da moltissime scuole, per fare conoscere ai ragazzi, attraverso la storia di Sadako, una bambina giapponese sopravvissuta all’esplosione nucleare di Hiroscima, l’atrocità di quel bagliore che improvviso appare nel cielo, un bagliore così grande da sembrare un nuovo sole.
Tuttavia il Giappone, pur essendo l’unico paese vittima di un attacco atomico, non è tra i firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare siglato nel luglio del 2017 da un totale di 122 Paesi e questo fa riflette.