È il lavoro il tasto più dolente delle donne italiane, come ha sottolineato il Censis in un’indagine: il tasso di attività femminile è infatti al 55%, gli ultimi in Europa per accesso delle donne al mercato del lavoro.
Per tasso di occupazione femminile (48%) superiamo soltanto la Grecia: la differenza con quello maschile è di ben 18,4 punti percentuali. Peggio di noi soltanto Malta.
Il tasso di disoccupazione femminile è del 12,6%, ancora lontano dalla media europea (8,8%) e soprattutto dal 3,9% della Germania e dal 4,8% del Regno Unito. Il part time è appannaggio del 32,6% delle occupate. Ma tutto è fuorché una libera scelta: per il 58,5% è un ripiego, accettato per mancanza di alternative a tempo pieno.
Il Sole 24 Ore cura una bellissima inchiesta sul lavoro delle donne in Italia, spiegando la lunga marcia per conquistare una parità matura e solidale, la cui meta però appare lontana.
In una giornata media, la durata del lavoro maschile retribuito è di 4 ore e 39 minuti (il 19,4% del tempo totale disponibile). Per le donne è di 2 ore e 23 minuti: il 9,9%. Ma al lavoro familiare, gratuito, ogni donna dedica in media 5 ore e 13 minuti al giorno (il 21,7% del totale), il triplo degli uomini (1 ora e 50 minuti, il 7,6% del totale).
In termini assoluti, lavorano più le donne, impegnate per una media di 7 ore e 36 minuti al giorno contro le 6 ore e 29 minuti degli uomini. Soltanto che non si vede.
Con il paradosso della generazione sandwich: le over 50, schiacciate tra la cura dei figli ancora piccoli e la necessità di accudire genitori anziani.
Conta anche la percezione: le italiane, che stentano a conquistare le professioni più qualificate e remunerative, sono quelle che avvertono le minori possibilità di carriera (23%).
Nel settore privato, le dirigenti sono cresciute del 20% negli ultimi cinque anni, attestandosi a fine 2015 al 16% del totale, mentre gli uomini sono calati del 6 per cento. Sostituzione “naturale”. Ma sedici su cento restano poche, pochissime. Tanto che la federazione parla di buone «premesse per continuare la rincorsa». Che è a ostacoli e impone sforzi più ampi: dalla parità al diversity, la valorizzazione di tutte le diversità. Compresa quella di genere. Un approccio che finora ha fatto poca breccia nella cultura aziendale italiana.
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Quella in corso è certamente la legislatura con il numero più alto di donne in Parlamento (31%).
Il governo Renzi vantava otto donne su 16 ministri, quello Gentiloni è risceso a sei su 18.
Negli ultimi trent’anni, come rivelato dall’Anci, il numero delle sindache è cresciuto più di sette volte: erano 145 i comuni amministrati da donne nel 1986, sono diventati 1.097 nel 2016. Su oltre 8mila, però. Non proprio il “50 e 50” auspicato dai movimenti.
Se nel pubblico si arranca, precisa ancora Il Sole 24 Ore, nel privato non va meglio.
Sono state oltre 110 le donne uccise nel 2016, già 13 dall’inizio del 2017: negli ultimi dieci anni 1.740 vite spezzate, il 71,9% delle quali per mano del compagno o del marito. È questa la percentuale che sconcerta: la violenza che matura in casa, segno di una malattia nelle relazioni che non accenna a diminuire. E sintomo di una “questione maschile” di cui si parla sempre troppo poco. Perché le donne hanno poco da festeggiare e molto ancora da combattere («Io lotto l’otto» è uno degli slogan di oggi, con il controverso sciopero), ma gli scudi sessisti che si levano da troppi uomini raccontano paure e sgomento davanti alle conquiste femminili.
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