Penso spesso alle briciole cadute furtive su quaderni pieni di orecchie, ma anche ricchi di tutto l’amore di questo mondo.
Ci penso a quelle dita che infilate nel naso, tentano di scovare tesori nascosti, prima che la voce adulta ne chieda l’immediato ritiro.
Alle mani più veloci di qualsiasi sguardo e ai loro occhi.
Avvolti ingiustamente in un groviglio di emozioni confuse, obbligati a vivere nel nostro mondo pandemico.
Quando nell’insonnia della notte guardo i miei figli dormire, ci penso ai nostri bambini.
Li ho pensati anche dopo un pomeriggio di un giorno di marzo dell’anno del coronavirus passato con mia figlia a ricevere assistenza sotto un tendone grigio. E c’è lei, il “nostro” camice bianco che come sempre ci rassicura.
E ancora li ho pensati quando al telefono, un medico pezzo del mio cuore mi descrive la sua giornata tipo, priva dei più essenziali e basilari dispositivi di sicurezza ma forte di una volontà indissolubile.
Quando sono costretta a guardare da lontano l’arrivo di un ambulanza che dalla cardiologia di un ospedale di trincea, riporta a casa un altro pezzo di cuore in camice blu, dopo giorni di isolamento forzato.
E l’emozione non trova voce.
E non la trova neppure quando arrivano messaggi da chi, in quarantena per aver assolto al proprio dovere, continua nonostante tutto e inaspettatamente a preoccuparsi per te.
E ancora ripenso ai miei alunni, in questi giorni in cui la Didattica a Distanza pare essere diventato il tutto.
Ma rendiamoci conto, NON LO È.
Non lo è in Lombardia con la sua Bergamo martoriata, ma non lo è neppure nel Lazio, in Friuli o in Sardegna, ne in qualunque altra parte della nostra epidemica Italia.
Non lo è perché c’è una pandemia in corso e siamo in Italia e se devo scegliere se utilizzare 85 milioni di euro per acquistare computer o tablet da distribuire alle scuole per tentare (perché di tentativo si tratta) di garantire la Didattica a Distanza, o acquistare respiratori, tamponi, tute sterili o mascherine, preferisco di gran lunga la seconda opzione.
Perché ai nostri bambini, prima ancora che un PC, dovremmo garantire una buona sanità capace di non lasciare a terra nessuno.
Perché un PC non ti salva la vita, un respiratore si.
Silvia Mureddu
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