I lettori ci scrivono

Modello educativo “buonista”. Alcune riflessioni

Condivido il giudizio negativo espresso dal collega G. Scialpi sul modello educativo buonista proposto dalla Ministra Fedeli. Ravviso, con grande amarezza, la perdita della cultura pedagogica come processo intenzionale, interpersonale orientato alla promozione dell’autonomia dell’allievo da parte di un adulto che usa i sì e i no per far uscire dal dispotismo dell’istinto, del piacere, del ruolo sociale.
Don Milani, proprio perché amava i suoi ragazzi, chiedeva loro moltissimo e, senza concessioni paternalistiche, indicava traguardi valoriali “alti”, fatiche degne della necessaria umanizzazione per non essere sopraffatti dal potere dominante. Questo grande Maestro incarnava la pedagogia come riflessione critica sul fatto educativo, non come applicazione della psicologia, della sociologia, della teologia, della politica.
Se il cavalierato viene assegnato a chi dichiara, come la collega Di Blasio, “ho sbagliato io”, penso sia evidente la confusione tra l’essere docente, l’essere madre/padre e l’essere persona. Se riflettiamo sui bisogni dell’allievo, sappiamo che costui necessita, per essere autonomo, di criteri di giudizio in merito al vero/falso, al bello/brutto, al bene/male. Sappiamo, altresì, che la libertà dell’altro è il grande mistero dell’uomo, cioè che la persona non è nostra, non è prevedibile, e non è un prodotto della programmazione sistemica. Ecco perché l’insuccesso educativo va sempre messo in conto come evento possibile nell’incontro tra due persone, come uno spazio prezioso per rinnovare la relazione.
Se come adulto, di fronte ad un atto lesivo dell’integrità della vita altrui,(questo è il senso del comportamento dell’allievo della collega Di Blasio), non faccio emergere le conseguenze personali, sociali, giuridiche, significa che privo l’alunno dell’esperienza più preziosa, quella del confronto con la realtà.
Senza nulla togliere al grande cuore della Collega, ritengo che il perdono, come risposta individuale alla violenza manifestata in un ambiente scolastico, sia un atto diseducativo perché non coscientizza su di sé, sulla realtà extrapersonale e lascia l’individuo in balia della propria mente-psiche baricentrata sull’”Io voglio”.

Ernestina Trentin

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