Il 3 giugno scorso il Governo ha risposto in aula a due interrogazioni proposte dai deputati Carlo Monai (Italia dei Valori) e da Fabio Garagnani (Forza Italia) rispettivamente sul problema degli organici e sui livelli essenziali di prestazione del sistema scolastico.
Le risposte fornite dal Governo (in entrambi i casi ha parlato il sottosegretario di Stato Ugo Martinat e non, come sarebbe stato forse più logico, il ministro Gelmini) aprono nuovi scenari in materia di politica scolastica.
Monai ha posto il problema dei tagli di organico in Friuli (ma il problema – ha sottolineato il deputato – riguarda anche tante altre regioni italiane): a fronte di un aumento di 309 studenti si avrà un taglio di 72 insegnanti.
Ma forse, ha ironizzato Monai, le tre I di cui parla il programma elettorale della maggioranza significano semplicemente “insegnanti insufficienti e isolati” …
Pronta la replica del Governo che ha evidenziato come i tagli di organico siano del tutto coerenti con le norme previste dalla legge finanziaria.
“La determinazione dell’organico di fatto – ha anche aggiunto Martinat – sarà effettuata allorché i dati riferiti alle iscrizioni saranno ampiamente consolidati e non più presunti”, lasciando quindi intendere che c’è ancora spazio per rivedere i tagli previsti dal decreto sugli organici di fatto.
Senza dimenticare, però, che – secondo quanto previsto dalla “clausola di salvaguardia” contenuta nella legge finanziaria – i mancati risparmi sugli organici dovranno essere coperti con corrispondenti tagli sul bilancio ordinario del Ministero e dunque con minori trasferimenti di fondi alle scuole (a questo proposito va segnalato che un paio di mesi addietro il Ministero dell’Economia avrebbe già provveduto a bloccare 500milioni di euro destinati all’Istruzione per compensare maggiori spese di personale).
Monai si è dichiarato soddisfatto sia per la tempestività della risposta (la sua interrogazione era stata depositata il 28 maggio) sia per l’impegno espresso dal rappresentante del Governo “a rimodulare, nell’ambito della programmazione dell’organico di fatto, eventuali lacune che attualmente si prefigurano nell’impostazione dell’organico di diritto”.
Garagnani ha posto invece la questione più generale delle disparità che si stanno creando nelle diverse realtà territoriali in quanto a suo dire vi sono regioni (Lombardia e Veneto, per esempio) che hanno stanziato fondi adeguati per rendere effettivo il diritto alla libera scelta educativa delle famiglie e regioni che non hanno stanziato neppure un euro (Emilia-Romagna).
Martinat ha risposto percorrendo la storia della parità scolastica a partire dalla approvazione della legge 62 del 2000 ed ha precisato che eventuali ulteriori stanziamenti per il sistema paritario potranno trovare spazio in un provvedimento più complessivo del Governo (in altre parole nella prossima legge finanziaria).
Nella sua replica Fabio Garagnani si è dichiarato totalmente insoddisfatto della risposta e ha riproposto la questione di fondo: “Ma perché un genitore dell’Emilia Romagna o della Toscana, che intende iscrivere il figlio alla scuola materna o elementare parificata, non può scegliere ed è obbligato a indicare una determinata scuola, mentre il genitore della Lombardia o del Veneto può fare questa scelta? Non credo sia un problema da lasciare solo alle regioni”.
Il 3 giugno sono insomma saltate alcune “regole” consolidate del dibattito parlamentare: Monai, membro dell’opposizione, si è dichiarato soddisfatto delle risposte di Martinat, mentre Garagnani non ha nascosto la propria totale insoddisfazione.
Se il dibattito sui problemi della scuola seguirà questo schema, c’è da credere che molte cose potrebbero andare in modo imprevisto: d’altronde c’è già chi mormora che il ddl Aprea potrebbe ottenere su alcuni punti il via libera dell’opposizione o almeno di una parte consistente di essa.
Forse la politica del “no e basta” e del “senza se e senza ma” è finita davvero o, se continuerà ad essere praticata, non riguarderà le aule del Parlamento.