Riceviamo dalla Direzione regionale dell’Emilia Romagna la seguente nota che volentieri riportiamo.
“I bravi presidi fanno bocciare pochi alunni”. Questo il titolo di una news del sito “La Tecnica della Scuola”, a firma Alessandro Giuliani, pubblicata in clima ferragostano il 16 agosto. La news prende spunto dal Decreto dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna – n. 869 del 3 agosto 2018, pubblicato nella sezione trasparente del sito www.istruzioneer.it – concernente il Piano Regionale di Valutazione dei Dirigenti Scolastici per l’a.s. 2017/18. Il Decreto individua, fra i diversi obiettivi regionali, la riduzione dei tassi di insuccesso, dispersione e abbandono.
L’osservazione al Decreto, sollevata da un insegnante di scuola primaria, sindacalista, ripresa dalla testata giornalistica Tecnica della Scuola, è la seguente: “non bocciare gli studenti sfaticati è l’obiettivo principale, infatti è il primo nell’elenco dei “risultati” che i dirigenti scolastici devono perseguire per avere una buona valutazione”. Da questa considerazione viene fatto derivare il titolo della news “i bravi presidi fanno bocciare pochi alunni”.
Cosa può essere accaduto, fra la stesura del decreto e la originale lettura interpretativa che ne viene data da taluno? La semiotica insegna che esiste un collegamento tra la parola scritta e il lavoro di lettura che il fruitore di un testo fa. Si parla di “collaborazione interpretativa“, intendendo che un testo scritto acquisisce il suo significato quando qualcuno lo legge. Leggere un testo significa assumersi la responsabilità di capirlo secondo il significato di chi lo ha scritto, oppure di costruire un diverso significato di cui è responsabile chi lo genera leggendo, non più chi lo ha scritto. Nel caso in esame, trattandosi di un Decreto, ovvero di un provvedimento di natura amministrativa, si restringe l’arco delle possibili libere risignificazioni, perché non si tratta di espressione d’arte, ma di disposizione conseguente ad attività vincolata.
Nella valutazione di un Dirigente Scolastico entra quanto “sa fare” per attivare le risorse della scuola a sostegno di ciascun alunno, anche di quelli che apparentemente rifiutano la scuola. Sono gli alunni difficili il vero target di un buon insegnante.
Questo non significa non si debba bocciare quando necessario, significa invece essere capaci di dare un significato educativo e propositivo al fare scuola, agli insegnamenti, al limite anche ad una decisione estrema come la bocciatura.
Ridurre il rapporto educativo, l’immensa responsabilità professionale e personale che esso rappresenta, al tema trito e bolso della bocciatura, oggi, a 60 anni dalla Lettera ad una professoressa, pare a rischio di analfabetismo educativo di ritorno.
Combattere l’abbandono e la dispersione è compito istitutivo della scuola. Non servono altre parole che quelle scritte dai ragazzi di Barbiana e da don Lorenzo Milani: il problema della scuola sono i ragazzi che perde. Chi vuole bene insegnare e chi vuole bene dirigere la scuola deve avere queste parole scolpite nel cuore e nella mente.
Risponde l’autore
La precisazione dell’Usr Emilia Romagna è senz’altro condivisibile, poiché incentrata sulla salvaguardia della sana crescita dei nostri giovani, la quale non può prescindere dalla frequentazione della scuola, sulla scia degli insegnamenti di don Milani.
Tuttavia, non contraddice l’appunto della Gilda degli Insegnanti laddove evidenzia che i dirigenti scolastici a capo degli istituti dove risultano meno alunni respinti avranno una valutazione certamente positiva.
Alessandro Giuliani