Gli ultimi Ministri dell’Istruzione hanno dovuto affrontare proteste e contestazioni scatenate spesso da episodi più o meno marginali.
Luigi Berlinguer fu costretto a dimettersi a causa di scioperi e cortei contro il “concorsone”; per tre anni consecutivi (dal 2003 al 2006) Letizia Moratti dovette subire attacchi di ogni genere per aver tentato di introdurre il tutor nelle scuole del I ciclo; in tempi più recenti Fioroni, dopo aver ricevuto vere e proprie standing ovation per essersi limitato a cambiare il nome del dicastero e aver aggiunto l’aggettivo “pubblica” cancellato dalla riforma Bassanini, non ha avuto vita facile con corsi di recupero e debiti formativi; solo Tullio De Mauro era riuscito a galleggiare decorosamente.
Ora, il ministro Gelmini corre il rischio di essere travolta anche lei da polemiche e proteste: la re-introduzione del voto nella scuola del I ciclo potrebbe essere l’occasione che sindacati e movimenti aspettavano per dare fuoco alle polveri.
In effetti l’articolo 2bis della bozza di decreto legge sembra scritto apposta per scatenare i malumori (e non solo) del popolo della scuola.
In pratica, due righe di un decreto legge (che – non dimentichiamolo – deve essere sempre emanato per motivi urgenti) fanno piazza pulita non solo della legge 517 del 1977 ma anche, e soprattutto, di 30 anni di dibattito pedagogico.
Tra l’altro la norma sembra confliggere, almeno parzialmente, con le disposizioni dell’articolo 4 del Regolamento sull’autonomia secondo cui “le istituzioni scolastiche … individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale”.
Peraltro c’è da chiedersi se la sostituzione dei giudizi sintetici (insufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo) con i voti rappresenti davvero una modifica sostanziale dei metodi valutativi: in entrambi i casi si tratta – per usare una terminologia docimologica – di scale ordinali che hanno proprietà del tutto identiche.
Il fatto è che l’uso dei voti dà l’illusione che – essendo numeri – sia possibile compiere operazioni matematiche come calcolare la media o cose del genere.
In realtà, come aogni buon insegnante sa, con i voti numerici è difficile fare la media aritmetica.
Facciamo il caso di uno studente che in 4 compiti della stessa materia prende prima un 4, poi un 5, poi un 6 e poi un 7: la media aritmetica dei 4 numeri è uguale a 5,5.
E facciamo ancora il caso di uno studente che prende gli stessi voti in senso contrario (e cioè iniziando con 7 e concludendo con un 4).
Chiunque capisce che le due situazioni sono del tutto diverse: nel primo caso siamo di fronte ad uno studente che migliora, nel secondo caso no.
Ma il decreto – purtroppo per chi lo ha scritto – contiene anche una mezza sciocchezza tecnica: si parla infatti di “certificazione delle competenze” da farsi con voti espressi in decimi, sia nella primaria sia nella secondaria di primo grado.
A parte il fatto che a tutt’oggi non esiste ancora un “elenco” di competenze attese al termine di ogni classe di scuola elementare, va detto che nel dibattito nazionale e internazionale sulle competenze non si parla mai di voti decimali per certificazione.
Anzi, la certificazione delle competenze esclude di per sé che si faccia riferimento a misurazioni numeriche e prevede piuttosto indicatori di carattere descrittivo.
C’è da chiedersi allora a chi sia stato affidato il compito di scrivere alcuni dei contenuti del decreto e in particolare quelli più tecnici.
Per la verità la bozza di decreto che circolava fino a poche ore prima della riunione del Consiglio dei Ministri faceva riferimento, su questo punto, al testo del disegno di legge del 1° agosto e appariva decisamente più sobria.
Poi, nel giro di due-tre ore, il testo è stato modificato; ma è davvero incredibile che una modifica tanto delicata sia stata fatta così frettolosamente e senza una pur sommaria verifica sulla attendibilità scientifica di talune soluzioni.