Hanno fatto tanti chilometri per assistere ad una vera seduta parlamentare in Senato, ma sono tornati a casa con l’amaro in bocca: perché in aula non c’era quasi nessuno e i pochi presenti pensavano a tutto fuorché a svolgere il loro importante e ben remunerato ruolo di senatori. E’ quanto accaduto a venti studenti della quinta A del liceo “XXV Aprile” di Pontedera dopo una visita con due loro insegnanti il 2 dicembre scorso al Senato. Dopo aver preso atto con i loro occhi dei larghi vuoti tra i banchi dell’aula e del disinteresse generale con cui vengono discusse ed approvate le leggi hanno così scritto una lettera al Presidente della Repubblica Napolitano, pubblicata dal quotidiano “Stampa”, descrivendo la loro esperienza e i loro sentimenti. Che non potevano non essere che di delusione e, a tratti, anche di profonda indignazione.
”Ci stanno insegnando – si legge nel testo inviato al Capo dello Stato – che non bisogna cedere a quella malattia, diffusa fra molti giovani, che è l’«indifferentismo». Ci stanno insegnando quel principio che un certo signor Piero Calamandrei insegnò agli studenti milanesi nel ’55 e cioè che sulla libertà bisogna vigilare ogni giorno, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica”. Hanno però accertato che le cose nella realtà vanno diversamente da come vengono spiegate a scuola e scritte sui libri di civica. Ecco un passo, quello che fotografa la realtà, della lettera inviata a Napolitano: “i senatori parlavano fra di loro ed al cellulare con estrema naturalezza, generando un fastidiosissimo brusio di sottofondo, per altro non captato dal Presidente, che neppure tentava di richiamare all’ordine tali senatori. Ai più sfrontati con il cellulare alla mano si contrapponevano però i senatori più pacati: non conversavano, non interagivano, ma sfogliavano semplicemente le pagine dei quotidiani o dei giornali di gossip. Non dimentichiamo poi coloro che usavano con naturalezza il computer, aperto in bella vista davanti ai loro scanni”.
”Ci stanno insegnando – si legge nel testo inviato al Capo dello Stato – che non bisogna cedere a quella malattia, diffusa fra molti giovani, che è l’«indifferentismo». Ci stanno insegnando quel principio che un certo signor Piero Calamandrei insegnò agli studenti milanesi nel ’55 e cioè che sulla libertà bisogna vigilare ogni giorno, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica”. Hanno però accertato che le cose nella realtà vanno diversamente da come vengono spiegate a scuola e scritte sui libri di civica. Ecco un passo, quello che fotografa la realtà, della lettera inviata a Napolitano: “i senatori parlavano fra di loro ed al cellulare con estrema naturalezza, generando un fastidiosissimo brusio di sottofondo, per altro non captato dal Presidente, che neppure tentava di richiamare all’ordine tali senatori. Ai più sfrontati con il cellulare alla mano si contrapponevano però i senatori più pacati: non conversavano, non interagivano, ma sfogliavano semplicemente le pagine dei quotidiani o dei giornali di gossip. Non dimentichiamo poi coloro che usavano con naturalezza il computer, aperto in bella vista davanti ai loro scanni”.
L’ordine del giorno della seduta a cui hanno assistito prevedeva la conversione in legge, con modifiche, del decreto legge 9 ottobre 2008 n. 155 recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e continuità nell’erogazione del credito a imprese e consumatori nell’attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali.
“Dalla nostra tribunetta, esterrefatti, – continua la lettera – scrutavamo tutto e tutti. La situazione stava per toccare il fondo: alcuni senatori cominciano a esporre i loro discorsi e le loro opinioni riguardo il decreto-legge, ma il brusio ovviamente non si placa neppure adesso. Molti di loro, concluso il discorso, prendono la ventiquattr’ore e se vanno, senza nemmeno ascoltare la risposta degli altri parlamentari. Altri continuano insistentemente a conversare, e come l’esponente del proprio schieramento conclude il discorso, si girano e con estrema naturalezza applaudono, senza nemmeno aver ascoltato una virgola dell’arringa. Molti altri entrano ed escono, leggono e scrivono, ci guardano e sorridono”.
Il disinteresse dei parlamentari sembra raggiungere l’apice quando vengono in qualche modo sollecitati su questo atteggiamento privo di etica, professionalità e rispetto per i tanti cittadini che li hanno votati per rappresentarli («Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», così recita l’articolo 67 della nostra Costituzione). Lo stupore provato sinora, scrivono ancora i 20 studenti, “si trasforma in profonda delusione e vergogna” quando alcuni di loro ascoltano le frasi di un senatore che rispondeva alle domande di altri signori scandalizzati quanto loro. “E’ normale – diceva – è da anni che è così. I senatori si presentano solo per le votazioni più importanti, il titolo ormai è acquisito“.
Le conclusioni della lettera aperta al Capo dello Stato sono pesantissime: si parla “di assenteismo, disinteresse, falsità nella politica italiana”, tutte accuse di cui “avevamo sentito parlare, adesso però li abbiamo visti con i nostri occhi. La politica non può e non deve essere quella che ci si è presentata davanti“. La lettera al Presidente della Repubblica “garante della Costituzione e rappresentante dell’unità” non cede il passo però a nessuna richiesta. A differenza di tante lettere di protesta inviate al primo cittadino italiano, non si chiede alcun intervento. Questa la conclusione: “in veste di cittadini italiani le chiediamo di far tesoro del pensiero, per non dire dello sdegno di 20 studenti, fieri cittadini italiani esattamente come Lei“. E forse questa mancata richiesta, questo senso di impotenza, è la parte più amara dell’intera lettera. Una lettera, che un cittadino che crede nelle istituzioni non avrebbe mai voluto leggere. Una lettera che quei venti studenti di Pontedera, inizialmente entusiasti di visitare la più importante aula d’Italia, non avrebbero mai pensato di scrivere.
Le conclusioni della lettera aperta al Capo dello Stato sono pesantissime: si parla “di assenteismo, disinteresse, falsità nella politica italiana”, tutte accuse di cui “avevamo sentito parlare, adesso però li abbiamo visti con i nostri occhi. La politica non può e non deve essere quella che ci si è presentata davanti“. La lettera al Presidente della Repubblica “garante della Costituzione e rappresentante dell’unità” non cede il passo però a nessuna richiesta. A differenza di tante lettere di protesta inviate al primo cittadino italiano, non si chiede alcun intervento. Questa la conclusione: “in veste di cittadini italiani le chiediamo di far tesoro del pensiero, per non dire dello sdegno di 20 studenti, fieri cittadini italiani esattamente come Lei“. E forse questa mancata richiesta, questo senso di impotenza, è la parte più amara dell’intera lettera. Una lettera, che un cittadino che crede nelle istituzioni non avrebbe mai voluto leggere. Una lettera che quei venti studenti di Pontedera, inizialmente entusiasti di visitare la più importante aula d’Italia, non avrebbero mai pensato di scrivere.