Con il suo articolo dell’11 gennaio, suor Anna Monia Alfieri comincia il 2019 riprendendo la “madre di tutte le battaglie” in favore delle scuole private paritarie cattoliche, finalizzata alla parità economica completa, cioè ad ottenere contributi economici statali identici a quelli delle scuole pubbliche.
L’articolo di Alfieri ripropone tematiche e argomentazioni già ben note e che però non hanno fatto breccia né nel governo, né nel Miur, né nella maggioranza attuale, così come in quella precedente, e nemmeno tra i politici in generale, ai quali pure era stata destinata la “Lettera ai politici sulla libertà di scuola”.
Una lettera-saggio, stampata nel formato inconsueto di libercolo o pamphlet, ma rimasta senza risposte, tranne forse e indirettamente da FI, con le on.li Gelmini e Aprea “nell’ipotesi di una eventuale ricostituzione dell’alleanza di centro-destra” cioè FI e Lega.
Come detto le argomentazioni della suora marcellina sono già ben note e ripetitive, già commentate e criticate (in modo costruttivo – sia chiaro – e per amore di chiarezza e verità), tanto che è inutile ribatterle nuovamente, tranne rimarcare alcune osservazioni di tipo …. lapalissiano. Vediamole.
La prima osservazione riguarda l’affermazione che “la scuola costa, costa tantissimo, 50 miliardi di euro l’anno, una cifra enorme ….” è palesemente falsa, irreale perché l’Italia spende, meglio investe, in istruzione pochissimo, appena il 3,9% del Pil a fronte di una media Ue o Ocse superiore di un punto percentuale. Perciò mancano ben 15 o 16 miliardi di euro per stare nella media.
Risulta non corretto, oltre che sgradito, ricevere simili critiche infondate da chi non diffonde nemmeno i suoi dati!
Infatti non esistono, oppure non vengono diffusi, dati complessivi comparabili relativi alle scuole paritarie, e non è possibile nessun confronto. Né ha senso biasimare o esecrare i “10.000 euro annui pro capite”, calcolati per altri scopi, relativi a una sola scuola statale – il L. S. Statale Da Vinci di Milano– e generalizzarli a tutte le scuole pubbliche (è insieme mossa infantile e boomerang, più che colpo basso).
Sappiamo che alcune paritarie chiudono, o per loro scelta, o (dicono) per motivi economici, cioè per le rette non adeguate ai costi, o ancora per gestione carente. Nulla da eccepire, possono farlo in quanto sono strutture private e libere.
La seconda osservazione riguarda “i risultati di questo ingentissimo [falso, come detto sopra] investimento sono bassissimi”. Qui siamo d’accordo, i risultati sono insoddisfacenti ma a fronte di risorse scarse, non ingenti, e a causa di un ventennio di riforme effimere, mal fatte, spacciate per epocali, disastrose nei risultati, ivi comprese quelle della citata ex-ministra Gelmini (che tagliò – era il 2008 – più di 8 mld e 100mila posti tra docenti e ata, spacciando questo massacro per razionalizzazione!).
Questa situazione è nota e denunciata dal mondo della scuola pubblica e dai suoi docenti in particolare, che la conoscono benissimo perché la vivono e la soffrono! Quanto scrive Alfieri non fa altro che confermare.
Riguardo ai risultati didattici medi delle paritarie, questi non sono, e non possono essere, migliori o meno insoddisfacenti delle statali pubbliche, per il fatto incontestabile che i docenti delle paritarie, appena ne hanno la possibilità, fuggono e confluiscono nelle scuole statali.
Lamentare ancora una volta – e siamo alla terza osservazione– che “la legge 62 del 2000 …. non ha dato gli strumenti necessari“ significa ignorare o cercare di scavalcare la Costituzione e le leggi vigenti, inclusa la stessa 62/2000 che risulta di dubbia costituzionalità e anche incompleta; significa voler trascurare o ignorare che le scuole paritarie hanno carattere privato e non possono pretendere finanziamenti statali.
La quarta osservazione è relativa al vero scopo e nocciolo dell’articolo di Alfieri, che è collocato in fondo, nella conclusione dello stesso articolo, e cioè la riproposizione del “costo standard di sostenibilità per allievo”, sia per le scuole statali pubbliche (?!), che per le private paritarie.
Riproposizione diretta al governo e che appare sterile e destinata all’oblio per alcuni motivi. È cambiato governo e ministro, al Miur non c’è più Giannini o Fedeli che – almeno a parole – avevano mostrato aperture e dichiarato disponibilità fino a formalizzare, con una OM, la costituzione di un Gruppo di lavoro dedicato. Le aspettative riposte in Bussetti provveditore di Milano, non trovano seguito né riscontro in Bussetti divenuto ministro!
Gruppo di lavoro che avrebbe dovuto esaminare e verificare la fattibilità tecnica, operativa ed economica dell’ipotesi del Costo standard. Gruppo che però – nel 2018 – non si è mai riunito e non ha lavorato, e perciò non ha potuto valutare o promuovere il Costo standard.
Leggiamo anzi che “Bussetti ha soppresso il tavolo sul costo standard”, notizia proveniente da fonte attendibile ma non ancora riscontrata sui siti Miur, e che Alfieri – appartenente a detto Tavolo di lavoro – potrebbe confermare o smentire.
In conclusione, il Costo standard non ha passato l’esame per la latitanza del Tavolo di lavoro, ciò non ostante viene tranquillamente e disinvoltamente riproposto.
Vincenzo Pascuzzi