Il “Bel Paese dove il sì suona…" non c’è più. L’Italia del bel canto, a detta delle statistiche, ha perso da tempo quel vanto che, a torto o a ragione, la caratterizzava come il Paese dei mandolini. Ora l’Italia, o meglio la scuola italiana, quel vanto vuole riprenderselo e, per questo, sta cercando di reintrodurre a pieno titolo l’educazione musicale nei curricula scolastici. Come? Per prima cosa è stato costituito un Gruppo di lavoro interno al Ministero della P.I., gruppo che si avvale anche della collaborazione di esperti esterni e che ha già prodotto un buon documento – “per la diffusione della musica come fattore educativo nel sistema scolastico italiano" (1/10/1998) – considerato la base sulla quale poggiare le fondamenta di una cultura musicale tutta da impostare e tutta da gestire all’interno della scuola italiana. Attualmente questa disciplina viene insegnata solo nella prima parte della scuola dell’obbligo, mentre è del tutto assente nel sistema della secondaria superiore, dove, oltretutto, è stata soppressa dal D.M. 10/3/1997 nelle scuole magistrali, dove bene o male era riuscita a sopravvivere. Per presentare questo documento, ancora tutto da discutere e da approvare nelle sue diverse soluzioni, erano presenti alla conferenza stampa indetta dal ministro Luigi Berlinguer il 5 novembre scorso, Salvatore Accardo, Paolo Arcà, direttore artistico al Teatro alla Scala, Bruno Tommaso, Mario Baroni.
“Nel corso della nostra attività di riforma della scuola italiana – ha detto Berlinguer – avremmo voluto occuparci fin dal primo giorno del problema dell’educazione musicale, ma non è stato possibile. Ora, però, partendo da questo documento vogliano porre le basi per un cambiamento d’indirizzo della cultura musicale nella nostra scuola e riparare alla trascuratezza che è sempre esistita nei riguardi di questa disciplina. Trascuratezza che trova le sue origini nelle grandi riforme della scuola italiana, condotte sì con grande lucidità, ma anche con unilateralità". A detta degli esperti e dello stesso Ministro, in attesa di una regolare soluzione curriculare, che il Ministro è ben determinato a perseguire, è importante creare uno spazio, soprattutto, fisico dove è possibile “fare musica". Uno spazio che gli autori del documento hanno chiamato “Laboratorio musicale" da costituire in tutte le istituzioni scolastiche. Si tratterebbe di un’aula attrezzata, dotata di tutte le strumentazioni necessarie per produrre e riprodurre il suono; un vero e proprio laboratorio che viene messo a disposizione dell’intera struttura scolastica.
Per raggiungere questo obiettivo su larga scala sarà necessario articolare un piano operativo che, dall’anno scolastico 1999/2000, fornirà nell’arco di un quadriennio, a tutte le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, i fondi necessari per la creazione di un proprio laboratorio musicale. Ma già da quest’anno 1998/99, verrà avviata una sperimentazione con la creazione di 120 laboratori musicali presso istituzioni scolastiche rappresentative di tutti gli ordini, gradi e indirizzi. Questa sperimentazione consentirà di verificare la funzionalità di questo modello di educazione musicale. Un’operazione che costerà 60 milioni a laboratorio. A coordinare e gestire questa nuova istituzione verrà chiamato un “coordinatore del laboratorio musicale", una nuova figura professionale, ma soprattutto una persona altamente specializzata che potrebbe essere reperita anche esternamente alla scuola, l’importante è che, grazie alle sue qualità e ai suoi requisiti professionali, sappia “far crescere" la propria rete scolastica. Tutti d’accordo su una corretta educazione musicale attuata attraverso spazi idonei e professionalità provate, ma non bisogna dimenticare, lo hanno ribadito insegnanti di musica e musicisti di chiara fame, che il primo strumento che deve essere educato è la Voce. Nella nostra scuola si canta poco, è stato detto. E questa riforma deve costituire una buona occasione per liberare la voce: il laboratorio, come spazio fisico, servirà anche per recuperare una pratica che nell’attuale orizzonte didattico è marginale e a volte del tutto assente. La pratica corale serve anche ad educare l’orecchio, e predispone l’allievo ad avere un interesse attivo e a partecipare di più. Paolo Arcà ha elogiato il cambiamento d’indirizzo e di filosofia nei confronti della musica, e ha detto che se gli obiettivi indicati nel documento saranno perseguiti si riuscirà anche nel difficile intento di formare un pubblico consapevole che abbia una base di conoscenza di quelli che sono gli ambiti storici e culturali degli eventi musicali. In questo senso è fondamentale creare un’abitudine nei giovani alla musica non solo ad ascoltarla, ma anche a “farla" e praticarla frequentemente. Salvatore Accardo ha invece voluto richiamare l’attenzione sull’importanza della scuola materna come luogo e tempo in cui potrebbero formarsi i futuri talenti, ed insiste sulla necessità che in questa prima fase educativa siano chiamati all’insegnamento i migliori insegnanti, capaci di riconoscere e coltivare piccoli Mozart, Beethoven, Brahms, e così via.
Ma, attenzione, i problemi ci sono e sono dietro l’angolo. Dove reperire e come formare i coordinatori dei laboratori musicali? In pratica, si ripresenta l’annoso problema di come formare i formatori, in quanto in Italia non esiste una tradizione di ricerca nel campo della cultura musicale. Chissà, è stato ipotizzato alla fine della conferenza stampa, forse un giorno si potrà rimediare, istituendo dottorati di ricerca in discipline musicali.