La scelta dei docenti di religione deve restare una prerogativa dei vescovi, gli unici in grado di comprendere se un cittadino può trasmettere nozioni di dottrina cattolica: nessun’altro può assumersi questo delicato compito. È questo il senso dell’intervento del presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, rilasciato ai giornalisti nella giornata conclusiva dell’assemblea generale dei vescovi che si è svolta in questi giorni ad Assisi. La sottolineatura del cardinale ha voluto, in questo modo, spazzare il campo ad equivoci: il sistema di reclutamento dei docenti di religione, incentrato su un lasciapassare del vicariato rinnovato di anno in anno, che se attuato obbliga di fatto l’Usp a sottoscrivergli il contratto, non si tocca.
“Chi può valutare – ha provocatoriamente chiesto Bagnasco – la correttezza delle conoscenze che un insegnante di religione cattolica deve presentare ai suoi alunni, sia per quanto riguarda la storia ma soprattutto la dottrina, i principi, i valori ei dogmi fondamentali? Chi può giudicare la correttezza di cui hanno diritto le famiglie dei nostri ragazzi che scelgono l’ora di religione?“. Il cardinale sostiene che escluso quello in vigore non esiste altro “sistema che garantisca che l’insegnamento della religione cattolica sia quello vero“. Quindi solo “la Chiesa può giudicare quale sia il soggetto abilitato per dare questa garanzia“.
Come noto la questione è un po’ più complessa: soprattutto quando i docenti di religione diventano di ruolo. Per questi ultimi che insegnano religione oggi, ma che l’anno prossimo si vedranno ritirare il lasciapassare del vicariato, a seguito di comportamenti non in linea con quelli imposti dai vescovi, rimarranno comunque dietro una cattedra. Gli accordi Chiesa-Stato, trasformati in legge, prevedono, infatti, che gli verrebbero in ogni caso assegnati compiti di insegnamento nei posti vacanti in materie per cui sono abilitati. Peccato, dicono i sindacati, in particolare la Uil Scuola, che non abbiano preso parte alla selezione e soprattutto alla kermesse delle supplenze cui invece sono stati sottoposti i colleghi di tutte le altre materie.
Dal numero uno dei vescovi è giunta anche una precisazione sul no, dopo una prima posizione non del tutto unitaria da parte dei rappresentanti della Chiesa, all’ora di Islam da proporre nelle scuole come alternativa proprio a quella di religione. L’ipotesi, prospettata nelle scorse settimane ad Asolo durante un confronto tra le Fondazioni ‘FareFuturo’ e ‘ItalianiEuropei’ capitanate da Gianfranco Fini e Massimo D’Alema, aveva spaccato il mondo politico. I contrari sono sembrati però prevalere.
Bagnasco ha ribadito che “il problema non è quello della libertà religiosa, che è un fatto indiscutibile, ma la titolarità dell’ora di religione“. E “senza una conoscenza del fatto della religione cattolica è difficile comprendere la nostra storia, la nostra cultura, l’arte, la musica, le vie, le piazze, il calendario, le feste e le tradizioni“.
Rispondendo a distanza alle critiche mosse soprattutto dalle associazioni laiche o non religiose, Bagnasco si è infine soffermato sul fatto che “l’insegnamento della religione cattolica non è catechismo“: si tratta di una pratica di avvicinamento alle convinzioni religiose dei cristiani che la Chiesa non intende certo sminuire, però solo sottolineare che non si svolge mai a scuola ma “si fa in parrocchia”.