Il nostro Governo traballa vistosamente dopo soli nove mesi di vita. Gli studenti più avveduti dell’ultimo anno dei Licei chiedono lumi ai docenti su cause e possibili conseguenze di un’eventuale crisi dell’Esecutivo. Anche perché, secondo l’OCSE, l’Italia sarà in recessione pure nel 2019.
Ed è evidente che, nell’attuale Governo, a scontrarsi sono due concezioni opposte dell’economia: quella neoliberista della Lega e quella antiliberista del M5S. Un’analoga contrapposizione attraversa tutto il mondo occidentale da quando, 85 anni fa, si tentò di superare la crisi più disastrosa: quella del ’29.
Può essere utile far riflettere gli studenti su analogie e differenze tra la situazione attuale e quella di allora.
Abbiamo già visto in precedenti articoli quanto inutili fossero stati gli sforzi di superare la crisi coi metodi liberisti (causa prima della crisi stessa). All’epoca il concetto di PIL come misura statistica non era ancora stato inventato. È stato calcolato, comunque, che il prodotto nazionale lordo statunitense nel 1933 era calato di un terzo rispetto al 1929. Gli investimenti privati erano appena un decimo di quattro anni prima. Bisognava procedere per tentativi e per buon senso.
Primo: controllare le banche
Franklin Delano Roosevelt fece votare al Congresso una legge bancaria d’emergenza (EBA, Emergency Banking Act) che finalmente permise un controllo federale sulle banche per evitare speculazioni e operazioni folli. Da quel momento, infatti, le banche non avrebbero più potuto operare negli USA senza il placet della banca centrale (la Federal Reserve). Nei primi tre mesi furono inoltre varate varie leggi per rilanciare l’economia. La supervisione sulla Borsa fu messa dal 1934 nelle mani di un ente simile alla nostra CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa): la SEC (Securities and Exchange Commission).
Importantissimo fu il Glass-Steagall Act, la legge (contenuta all’interno dell’Emergency Banking Act) che separava le banche d’investimento (ossia quelle che offrivano consulenze e investivano capitali) e le banche commerciali (quelle che raccoglievano denaro presso i risparmiatori e lo prestavano). La medesima legge, inoltre, assicurava i risparmi dei cittadini fino a 5.000 dollari e proibiva alle banche commerciali di essere attive nel settore finanziario.
Secondo: soldi pubblici per dare lavoro
Roosevelt non fece nulla da solo: seguì precise linee di politica economica, secondo gli studi e i suggerimenti del “brain trust”, un gruppo di ricercatori e professori universitari d’ispirazione non liberista.
Ben mezzo miliardo di dollari di allora venne stanziato per varare un piano di lavori pubblici che desse lavoro a grandi masse di disoccupati. Per ripristinare e conservare l’ambiente (prima d’allora trascurato negli stati Uniti), vennero istituiti i CCC (Civilian Conservation Corps), che assunsero oltre tre milioni di disoccupati, pagandoli 30 dollari al mese e fornendo loro vitto, alloggio e vestiti. Furono soldi pubblici ben spesi: dal 1933 al 1942 i CCC migliorarono le tecniche di spegnimento degli incendi, fecero rinascere i parchi nazionali e piantarono più di tre miliardi di alberi.
Terzo: assumere lavoratori, aumentare la liquidità, colpire i traffici mafiosi
Fu creata la WPA (Works Progress Administration), ente statale con lo scopo di assumere altri milioni di disoccupati per adibirli alla costruzione di grandi opere pubbliche (dighe, scuole, strade ed altre infrastrutture).
Fu attuata una riforma monetaria che aumentò la liquidità in circolazione per far diminuire i prezzi ed aumentare le esportazioni. E infatti la produzione industriale ripartì a ritmi impressionanti. Fu abolito il proibizionismo sugli alcolici: così furono colpite le mafie che ne sfruttavano il mercato nero, e lo Stato incamerò le tasse derivanti dalla vendita libera degli alcolici stessi, creando ulteriori nuovi posti di lavoro.
Quarto: tassare gli straricchi per aiutare i poveri
Vennero tassati i ricchi, onde aumentare le entrate dello Stato per poi investirle a favore degli strati più poveri: nel 1934, infatti, le aliquote fiscali furono aumentate per i redditi più alti.
La crisi cominciò così a mordere di meno. Roosevelt aveva imboccato la strada giusta, ma si era fatto anche tanti nemici: in particolare tutti quei miliardari (insieme al loro “cerchio magico”) che dalla crisi avevano guadagnato, e che ricavavano dal liberismo economico margini di profitto immensi. Democratici di destra e repubblicani cominciarono ad attaccarlo, lamentando il costo eccessivo della politica “assistenzialista”, il deficit pubblico troppo aumentato, l’esagerato interventismo statale, e addirittura accusando Roosevelt di autoritarismo, per aver aumentato il potere della Presidenza sul Parlamento.
Quinto: rendere effettive le libertà sindacali per difendere il benessere di tutti
Tuttavia Roosevelt non si lasciò intimidire. Nel 1935 il National Labor relations Act (o Wagner Act, dal nome del senatore che lo promulgò) permise finalmente ai lavoratori di organizzarsi liberamente e proibì l’abitudine degli industriali di istituire sindacati “gialli”. Tutelare il benessere e la libertà dei lavoratori significa difendere il benessere di tutti: Roosevelt aveva compreso molto bene questa verità.
Possibile qui ed ora?
Le ricette attuate da Roosevelt negli anni ’30 sarebbero attuabili — mutatis mutandis — nell’Italia di oggi? Sì e no. Sì, se avessimo una Banca d’Italia del tutto nazionalizzata e sovrana sui conti pubblici, ossia non sottomessa alla Banca Centrale Europea. Invece nel 1981 si è stabilito che Banca d’Italia, divenuta indipendente dal Governo, non fosse più tenuta ad acquistare tutti i titoli di stato rimasti invenduti (il che ha portato al progressivo aumento del debito pubblico). Il Governatore, infatti, pur scelto dal Governo (e quindi dallo Stato), ne è indipendente (e la stessa Banca d’Italia è controllata di fatto da società private).
Inoltre oggi le grandi banche italiane sono sorvegliate direttamente dalla Banca Centrale Europea (e non da “Bankitalia”); le banche minori sono sì vigilate dalla Banca d’Italia, che però deve attenersi agli “indirizzi formulati dalla BCE”. In ogni momento la BCE può assumersi la sorveglianza di qualsiasi banca, se lo considera utile.
In parole povere, dal punto di vista finanziario l’Italia non è sovrana: come non lo sono i singoli Stati degli Stati Uniti. Con la differenza, però, che i singoli Stati USA sono parte integrante di uno Stato unitario che tutela i loro comuni interessi: non di una “comunità” di Stati indipendenti (e concorrenti tra loro secondo precise gerarchie) accomunati solo da una moneta unica (l’euro) gestita da una Banca Centrale (Europea). La quale, per di più, è de iure di proprietà delle Banche Centrali degli Stati che ne sono parte; ergo, essendo le Banche Centrali controllate da società private, la BCE medesima è una società privata de facto.
Liberare la classe media per sostenerla
Ciò che si potrebbe immediatamente fare è, semmai — a costo zero — rivedere la legislazione in materia di rappresentatività sindacale (come fece Roosevelt con il Wagner Act), onde spezzare il consociativismo politico-sindacale che negli ultimi 30 anni ha progressivamente eroso le garanzie, i diritti e i salari dei lavoratori italiani, compromettendo la classe media e distruggendo il suo potere d’acquisto.
Ma di questo riparleremo in un prossimo articolo.