Nell’epoca della globalizzazione anche la valenza della parola “cultura” sta assumendo un significato diverso da quello originario; dal latino cultus,participio passato del verbo colere =coltivare: coltivare informazioni, interessi, conoscenze tratte dai vari rami dello scibile e saperle rielaborare. Un tempo si giudicava colta la persona che sapeva reggere il tono in qualunque conversazione senza fare brutta figura; era colto chi si esprimeva con proprietà di linguaggio, chi si destreggiava con una certa disinvoltura in mezzo a qualsiasi argomento e a qualsiasi discorso.
Oggi, invece, troppo spesso, la valutazione dei traguardi culturali raggiunti dai nostri studenti è il punteggio totalizzato nei test a risposta chiusa, nelle prove oggettive strutturate, nelle tabelle da completare e in tutto un iter di cifre e percentuali di cui l’INVALSI è l’apoteosi finale.
Guai a proporre criteri di valutazione più allargati che si basino su osservazioni di più ampio respiro,che tastino il polso dello studente in merito alle sue capacità di comunicazione ,di rielaborazione e di riflessione sui contenuti appresi: “La valutazione deve essere rigorosamente oggettiva e si deve fondare su criteri comuni”, recita il catechismo scolastico dei docenti del ventunesimo secolo,imbrigliati in una farragine continua di moduli,schemi, griglie…. Siamo sicuri che quest’oggettività ostentata e sventolata come traguardo ideale, come fine ultimo a cui tutto tende, non sia invece un cammino pericoloso verso l’appiattimento totale? Appiattimento delle conoscenze, dell’originalità dell’individuo, delle sue specifiche capacità di giudizio e di riflessione e, in breve, della vera cultura?
Forse stiamo diventando tutti un po’ troppo miopi: nella scuola la dirompente inondazione dell’astrattismo computerizzato, con la sua miriade di fogli Excel, di griglie valutative, di punteggi matematici, ci ha tolto la facoltà di vedere lontano.
Il rischio che corriamo è incasellare generazioni di alunni in un sistema piatto ed uniforme, dimenticandoci che ogni studente è comunque, nel bene e nel male, portatore di una sua originalità e di valori interiori personali. E visto che ormai – ne siamo tutti consapevoli – tali contenuti interiori vanno via via impoverendosi a causa della carenza di stimoli esterni, cerchiamo di tornare a una didattica più “maieutica”: aiutiamo i nostri alunni a tirar fuori ciò che hanno dentro; valutiamo il modo in cui si esprimono scrivendo e parlando, per giudicare se saranno pronti, domani, a spiegarsi e a farsi capire nella società ingrata in cui vivono…
La cultura, dicevano gli illuministi, è un universo circolare (non a caso pubblicarono un’enciclopedia): ed è alle porte di quest’universo che dovremmo guidare i nostri giovani studenti, valutandoli attraverso mille sfumature; a tutto tondo. Non per mezzo di quiz.
Nadia Ubaldi