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Gli asili nido in Italia: pochi e cari

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Altro che obiettivi di Lisbona. Trovare un asilo nido comunali in Italia continua ad essere un’impresa tutt’altro che facile. E quando si è fortunati, o abili nel trovare la soluzione, bisogna comunque fare i conti con delle rette tutt’altro che simboliche.
A scattare la “fotografia” annuale sugli istituti che ospitano i bimbi italiani fino a tre anni, in prevalenza perché entrambi i genitori sono al lavoro, è stata anche quest’anno l’associazione Cittadinanzattiva. La quale ha verificato che oggi più che in passato la loro frequenza per mancanza di posti è in media negata al 25% (un anno fa al 23%) delle famiglie che ne fanno domanda. Al Nord, ci sono le dieci città più care, mentre a Oristano si registra l’incremento record (+51% rispetto al 2007/08). “Dall’analisi di dati in possesso al ministero degli Interni e relativi al 2007 – ha spiegato Cittadinanzattiva – emerge che il numero degli asili nido comunali sia cresciuto solo del 2,4% rispetto al 2006 (nel 2006 l`incremento fu del 3,3% rispetto al 2005)”. E i bimbi chi restano in lista d’attesa passano dal 23% al 25% dei richiedenti. La percentuale sale al 27% se consideriamo solo i capoluoghi di provincia. Il poco edificante record va alla Campania con il 42% di bimbi in lista di attesa, seguita da Lazio (36%) e Umbria (35%).
Ma spesso anche chi viene accolto non sembra soddisfatto: mandare il proprio figlio all’asilo comunale costa in media ben 297 euro al mese che, considerando 10 mesi di utilizzo del servizio, portano la spesa annua a famiglia a circa 3mila euro.
Quel che preoccupa è l’incremento medio delle tariffe: +1,4% rispetto al 2007-08, in linea con l`anno prima (+1,8%), dopo che nel 2006-07 si era registrato un +0,7% rispetto all’anno prima. Nel 2008-09, “ben 34 città hanno ritoccato all’insù le rette di frequenza, e 7 capoluoghi registrano incrementi a due cifre”: Oristano (+51%), Ragusa (+29%), Catania (+20%), Viterbo (+18%), Trapani (+17%), Salerno (+14%), Pistoia (+11%). Rispetto a un anno fa, gli aumenti medi principali si registrano al Sud (+3,2%) e al Centro (+2,7%), a conferma di una “preoccupante tendenza da parte delle città del Centro-Sud ad uniformarsi ai valori delle tariffe del Nord Italia”.
In una provincia – spiega Cittadinanzattiva – la spesa mensile media per il tempo pieno può avere costi anche tre volte superiori rispetto ad un`altra provincia, e doppi tra province nell`ambito di una stessa regione”. Ad esempio, a Lecco la spesa per la retta mensile, di 572 euro, è più che tripla rispetto a Cosenza (110 euro) o Roma (146 euro) e più che doppia rispetto a Milano (232 euro). In Liguria, la retta più economica, in vigore a Savona (279 euro mese per il tempo pieno) supera la più cara in Umbria (registrata a Perugia e pari a 271 euro, sempre per il tempo pieno). E’ la Calabria la regione più economica (120euro), Lombardia la più costosa (402 euro). Nella top ten delle dieci città più care, tra quelle che offrono il servizio a tempo pieno, si confermano, rispetto al 2007/08, Lecco, Belluno, Bergamo, Mantova, Sondrio, Treviso, Cuneo, Pordenone e Vicenza, mentre Udine subentra a Varese. In quella delle 10 città meno care, prevalgono le realtà del Centro-Sud. In assoluto, la città più economica risulta Cosenza, seguita da Roma, Chieti e Reggio Calabria.
Secondo Antonio Gaudioso, vicesegretario generale e responsabile delle politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva, alla luce di questi dati, l’Italia “sconta un ritardo strutturale ormai conclamato, espressione di una attenzione alle esigenze delle giovani coppie vera solo sulla carta“. Non a caso, proprio dove il numero di nidi è ridotto si riscontra una maggiore disoccupazione femminile.