Quando finisce la scuola gli alunni sono contenti. Ma ancora di più quando si arriva alla fine del quinto anno delle scuole superiori. C’è la maturità prima, è vero, ma il senso di felicità prevale su tutto. Ma ciò non significa che i ragazzi si lascino facilmente alle spalle gli anni di studio con compagni e insegnanti.
A tale proposito, pubblichiamo una lettera scritta da una studentessa, Alessia Martinelli, che ci accinge a concludere gli studi e conseguire il diploma presso il Liceo Alfonso Maria de’ Liguori di Acerra, in provincia di Napoli, indirizzo scientifico.
Nella lettera, la giovane maturanda ringrazia i compagni di classe ed i professori, che l’hanno accompagnata in questi anni.
Ecco il testo:
Che strano, questo momento: a quest’ora, il mese prossimo (si spera, sia chiaro), avremo tutti un pezzo di carta nuovo in tasca, e ci saremo lasciati il liceo alle spalle.
Che strano, quello che sento: a quest’ora, il mese scorso, desideravo solo che maggio finisse, che trascinasse con se gli ultimi compiti, le ultime interrogazioni, le dieci sveglie ogni mattina, l’alternanza, i PON…
E invece, insomma, eccomi qui; che strano, no?
Non è strano adesso? È tutto così diverso: è proprio vero, non ti accorgi di quanto qualcosa sia davvero importante per te se non prima di perderla, mentre senti che ti scivola via dalle mani.
E allora pensi a quante volte, prima di realizzarlo, hai letto di quelli che c’erano passati prima di te e che raccomandavano di godersi gli anni di scuola, tutte quelle storie sui migliori anni della vita e bla bla bla…, e vorresti poter avere una seconda occasione, un tasto “restart, nuova partita”, per fare le cose per bene, stavolta, per non far assenza quel giorno, studiare di più per quel compito, fare tesoro di ogni parola, ogni spiegazione, e un po’ ti maledici per aver desiderato che il tempo scorresse più veloce.
Col senno di poi, tutti noi, superate specifiche tappe della nostra vita, dimentichiamo com’è stato viverle. Intendo dire che, probabilmente, dopo che avremo passato settimane insonni, stressanti, in vista dell’esame con cui a breve ci misureremo, tra dieci, vent’anni, ce ne ricorderemo come una passeggiata in una bella giornata di primavera. Insomma, credo che non dovremmo star qui a preoccuparci dell’essere preoccupati, sono pronta a giurare che l’esame di maturità sembrerà una sciocchezza, un domani, paragonato a quelli universitari o alla laurea. E un domani ancora più lontano, quando dei nostri studi rimarranno delle cornici appese al muro, rideremo di gusto, pensando a come le nostre priorità cambino nel tempo.
So bene che queste un giorno diventeranno storie e che le nostre immagini diventeranno vecchie fotografie e noi diventeremo il padre o la madre di qualcuno … ma qui, adesso, questi momenti non sono storie, questo sta succedendo. Io, noi, siamo qui, tutti insieme, ed è bellissimo, così bello che mi fa paura.
Quando ho attraversato per la prima volta il cancello del De’ Liguori, avevo appena compiuto quattordici anni ed ero terrorizzata all’idea di trovarmi in una realtà così nuova, così diversa. Ora, che sono a tanto così dall’attraversare quel cancello per l’ultima volta, provo un terrore decisamente differente: quel mondo che a quattordici anni mi spaventava tanto, alla soglia dei diciannove è diventato casa mia, custode di tutto ciò che conosco e che sono diventata, e, se solo penso che è così, che devo davvero andare via, tutte le mie certezze vacillano e sento che mi manca la terra sotto i piedi.
Seduta al mio posto, durante tutto l’anno, ho spesso pensato che, volendo intraprendere studi scientifici, queste erano le mie ultime lezioni di letteratura italiana e inglese, di storia dell’arte, di filosofia, che un giorno sarò una di quelle persone che, parlando di un argomento, dirà di non ricordarsene granché, perché non ha più avuto modo di affrontarlo, dopo il liceo, e più ci pensavo, più mi chiedevo quanto mi sarebbe mancato tutto questo e, sopra ogni altra cosa, quanto mi sareste mancati voi, con i quali ho condiviso tutti i miei giorni dentro quelle quattro mura.
È che … voi siete stati, siete, così tanto, che proprio non me ne capacito, che io proprio non ne voglio sapere di salutarvi. La verità è che mi sembra di vivere le mie emozioni in un modo così amplificato, così totalizzante, che esprimerle non mi è mai possibile come vorrei.
Credo di aver bisogno di prendermi il mio tempo, come tutti, certo, ma forse un po’ di più. Allora, anche se so che il cerchio non s’è ancora chiuso del tutto e che abbiamo un’altra settimana e le tre prove davanti, cerco di rimettermi insieme come posso, e scrivo di voi, di noi, per fissarvi nel tempo, per rendervi eterni.
A Maria, al cellulare durante le ore di inglese, MMMaria
A Giovanni, che ha acceso il proiettore per tutto il triennio
Ad Alberto, che non riesce a spuntarla mai, in scienze […]
[ …] Alla professoressa Venuso che ha saputo motivarci come un allenatore fa con la sua squadra e coccolarci come una madre con i suoi figli.
Al professore Chinnici, che è l’unico sul pianeta a rendere divertente la matematica, anche quando non prendi sufficiente; che ci ha cresciuti dal primo giorno all’ultimo; che ha saputo unire, come i supereroi, nella sua persona, l’essere un docente e un amico, certo un po’ più adulto, ma non per questo distante o disinteressato.
Al professore Sodano, che dovrebbe essere eletto insegnante dell’anno tutti gli anni, e che, probabilmente in modo inconscio, ci rende partecipi di tutta la sua giustizia e nobiltà d’animo.
Al professore Niola, al suo fuoco dentro, e allo stesso fuoco che cerca di far bruciare nei suoi studenti, stimolandoli continuamente alla riflessione mai statica, sempre dinamica, sul tempo della storia, sul nostro territorio, sulla filosofia, sulla politica, sulla vita, invitandoci a parteciparvi attivamente e pienamente.
Al professore Devastato, al gusto per il bello, ai termini di storia dell’arte, ai #globetrotterselfies.
Alla professoressa Rigione, per la semplicità con cui ci ha sempre proposto le sue lezioni, senza lasciare mai nessuno indietro, spronandoci anzi ad essere sempre ambiziosi.
Al professore Pipolo, per essere la persona pura che è e per i dibattiti sani, quelli sulle questioni importanti.
Al professore Elmo, che tra una partita a calcetto e una lezione di teoria, ci ha trattati sempre come suoi pari, considerandoci come di famiglia.
Ai professori Scotti e Perfetto, che hanno imparato a volerci bene alla fine di quest’avventura, nonostante tutti i nonostante, e che ci hanno insegnato che bisogna sapersi reinventare, continuamente. é […]
[…] Grazie per non essere stati quello che tutti dicono che il liceo sia: grazie per non essere stati di passaggio, transitori.
Per non essere stati la fermata di scalo di un lungo viaggio.
Grazie per non essere stati l’antipasto, l’aperitivo.
Grazie per non essere stati l’ouverture, il coro di inizio.
Grazie, perché siete stati insieme la destinazione, il cenone di Natale, l’intera opera a teatro.
Grazie, perché in ventisei, le ansie, le giornate no, di quelle che te ne accorgi appena sveglio, diventano gestibili.
Grazie, perché non vi siete mai nascosti, mai tirati indietro, mai dato forfeit, preferendo sempre giocare la partita, anche quando ha significato perdere.
Grazie, perché siete stati vita, pura e totalizzante, travolgenti e torrenziali; perché in mezzo a voi non mi sono mai preoccupata d’essere qualcuno che non mi rappresentasse, perché da voi posso venire ed essere me stessa, senza maschere e congetture, e posso ridere fino a perdere la voce o rimanere zitta al mio posto, se mi va così.
Grazie perché siete stati voi, proprio così: grazie perché scelgo di credere, mi piace pensare, che se fosse stata una filtrata circostanza, che se gli altri venticinque non foste stati voi, non starei qui a dire ciò che invece sto dicendo. Per uno strano giro di vite, ci siamo trovati in quest’esperienza tutti insieme, nell’aula 21, e a me piace pensare che tra tutte, questa sia stata la combinazione di possibilità più vincente.
Mi mancherete ragazzi, come l’aria che respiro, e, non sarò ipocrita, certo mi rammarica e mi mancherà il tempo che non abbiamo più, le lezioni che non faremo, il non vedervi più tutte le mattine, probabilmente nei momenti di follia più acuta, mi mancheranno anche i compiti del professore Chinnici, ma, vi assicuro, più di tutto, mi mancherà questo tempo che invece è stato nostro e che abbiamo condiviso: amici, grazie, per questo tempo che è stato nostro e che terrò sempre in quel posto speciale, indelebile.
Ho straparlato e, con sicurezza, quello che volevo dirvi non lo so, ma spero comunque di avervelo detto.
Vi voglio bene.
«Le storie che amiamo di più vivono in noi per sempre».