Home Archivio storico 1998-2013 Estero Le istituzioni rispondono alle proteste dei precari

Le istituzioni rispondono alle proteste dei precari

CONDIVIDI
Le proteste dei precari siciliani sembrano portare i primi frutti: il 23 agosto il il governatore della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, leader del Movimento per l’autonomia, ha fatto sapere di avere inviato una lettera di protesta al ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, nella quale spiega che il territorio da lui presieduto, sulla base del proprio statuto di autonomia, ha competenze proprie sulle quali “le determinazioni statali vengono a interferire” e chiede quindi la reintroduzione di almeno la metà dei posti tagliati.
Nella lettera il presidente della Regione esprime ritiene infatti ingiustificato l’annullamento, solo per il prossimo anno scolastico, di 2.500 insegnanti. Soprattutto del migliaio in meno di docenti di sostegno, a fronte di un incremento degli alunni diversamente abili di 5.000 unità. Nella lettera Lombardo chiede quindi il reintegro della metà dei posti tagliati argomentando la richiesta sulla base della lesione del “principio costituzionale di leale collaborazione“. In base a quanto comunicato dalla regione Sicilia al Miur, la missiva del presidente avrebbe già fatto i suoi effetti: “difatti – si legge in una nota emessa dalla regione – si ipotizza un aumento di 450 unità per quanto riguarda i docenti di sostegno, a fronte delle 600 richieste”. Al di là dell’ottimismo della Regione siciliana, appare tuttavia difficile che da viale Trastevere vi siano ripensamenti così repentini. Anche perchè, a catena, anche le altre Regioni potrebbero fare altrettanto rivndicando ognuna proprie particolarità e motivazioni. Peraltro su questioni che, se riviste, rischiano di compromettere economie di spesa che il Mef ha messo già nel bilancio in attivo.
Intanto le proteste proseguono. Ad iniziare dallo sciopero della fame davanti l’Usp di Palermo, dove in segno di protesta per i tagli agli organici della scuola, il collaboratore scolastico 50enne, precario da 25 anni, domenica 22 era stato colto da malore e ricoverato in ospedale a seguito del caldo, della sofferenza alimentare e della sospensione dei medicinali di cui necessita a causa della sua cardiopatia.
Di Grusa, malgrado i medici lo abbiano sconsigliato, è tornato di nuovo in via Praga, dove ha raggiunto gli altri precari autori della protesta: il docente di sostegno Salvo Altadonna e l’amministrativo Giacomo Russo, al suo secondo sciopero della fame in 12 mesi.
I medici dicono che devo riprendere ad alimentarmi e assumere i farmaci – ha detto Di Grusa, che quest’anno in caso di mancata conferma non accederà al decreto salva- precari e non riceverà nemmeno l’indennità di disoccupazione – ma io sono già un uomo morto senza un lavoro. Andrò via da qui con una bara, se non risolvono la situazione“.
La protesta dei tre precari sta nel frattempo trovando il sostegno da tutta la categoria: giovedì 26 agosto il Coordinamento precari scuola scenderà nelle strade di Palermo, in piazza Politeama, per chiedere delle soluzioni per le migliaia di persone che dal 1° settembre non saranno confermate. All’iniziativa di giovedì parteciperà anche il Partito democratico. Nella stessa giornata il sottosegretario all’Istruzione, Giuseppe Pizza, dovrebbe incontrare i tre lavoratori non di ruolo a digiuno.
E per il primo giorno di scuola, il 17 settembre, i sindacati hanno proclamato uno sciopero regionale con contestazione davanti all’Usr.
Sul fronte dei sindacati, intanto, si registra l’iniziativa dell’Unicobas che ha inviato una lettera aperta agli incaricati a tempo indeterminato della scuola superiore, attraverso cui chiede di frenare “il più vasto licenziamento mai messo in cantiere in Italia”, pari a “circa 130.000 precari, docenti ed Ata, in tre anni, non accettando cattedre oltre le 18 ore settimanali”. Per il sindacato di base, incrementare l’orario, come prevede il contratto, sino a 24 ore settimanali significherebbe “piegarsi alla logica del cottimo ed aprire le porte a breve ad un aumento dell’orario di lavoro a pari retribuzione. Significa svilire la funzione docente ed avviarsi inconsapevolmente alla trasformazione di questa professione in qualcosa di diverso: essere a servizio e pronti a tutto per qualche spicciolo in più (ripreso con lo scatto dell’aliquota fiscale) “. I no che docenti e personale amministrativo, tecnico ed ausiliario di ruolo dovrebbero esercitare non si limitano all’orario di cattedra: nella lettera l’Unicobas li ha anche invitati a “rifiutare di svolgere ogni genere di attività aggiuntiva e lavoro volontario oltre gli stretti impegni contrattuali; rifiutare di assumere incarichi di vicario o responsabili di plessi o sedi distaccate; non dare disponibilità a svolgere attività di coordinamento, gite scolastiche e visite d’istruzione; non accettare in aula alunni di altre classi; rifiutarsi di adottare nuovi libri fino a quando il vecchio testo viene è disponibile”. Insomma, limitarsi ad insegnare e basta. Un comportamento che se attuato metterebbe davvero le scuole in ginocchio.