“Sollecitiamo il Governo ad attivare subito” le commissioni per i lavori gravosi e usuranti e per la separazione della previdenza dall’assistenza e “ad avviare i tavoli per la riforma previdenziale, oltreché per quella fiscale”: a chiederlo, il 18 ottobre a Mazara del Vallo, è stato il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, durante il convegno “La sicurezza nelle nostre reti”.
Il convegno
Il sindacalista confederale, riferisce l’Ansa, ha partecipato al confronto organizzato dalla Uila pesca, che ha visto al centro il tema della salute e sicurezza nel settore della pesca e le ricadute sul fronte della previdenza.
“Una ricerca dell’Ital e della Uila – ha dichiarato Barbagallo – ha consentito ad un gruppo di medici di salire a bordo di alcuni pescherecci e, con il supporto di attrezzature sofisticatissime, di misurare lo sforzo fisico dei pescatori, mentre svolgevano la loro attività. Ebbene, quella ricerca è riuscita a dimostrare l’origine professionale delle malattie che colpiscono questi lavoratori e ora potrebbe essere avviato un percorso sul fronte della tutela previdenziale, ma anche su quello della prevenzione dei rischi per la salute”.
“La Fornero è sbagliata: le professioni non sono tutte uguali”
“Questa ricerca – ha sottolineato il leader della Uil – fa da pendant alla nostra richiesta di attivare subito la Commissione tecnico scientifica per l’individuazione dei lavori più gravosi e usuranti, ai quali attribuire il beneficio dell’anticipazione dell’età pensionistica”.
Il leader della Uil, ha ribadito il suo pensiero negativo pe la legge Fornero: “è sbagliata, anche perché considera i lavori tutti uguali. Non è giusto che tutti vadano in pensione alla stessa età, chi svolge un’attività particolarmente usurante deve andarci prima. E la decisione deve essere assunta sulla base di una valutazione tecnico-scientifica”.
Gissi: la violenza crescente crea ulteriore stress
Molti addetti ai lavori nella scuola chiedono da tempo che anche l’insegnamento venga identificato come professione gravosa, principalmente per collocarlo nell’Ape social ed in questo modo permettere l’uscita anticipata, come oggi avviene per le maestre della scuola dell’infanzia e le educatrici dei nidi.
Del tema si è parlato anche in occasione del rinnovo dell’ultimo contratto collettivo nazionale: Lena Gissi, segretario Cisl Scuola, ha commentato gli episodi sempre più frequenti di violenza a scuola, i quali “vedono come protagonista il personale della scuola“, con conseguente conflitto e disagio, “che investe tutti gli attori” e “che spesso esprime un alto livello di stress e si traduce anche in casi frequenti di burnout”.
Sempre il leader della Cisl Scuola disse nell’occasione, che la tutela dello stato di salute dei lavoratori è un obbligo previsto dal Decreto legislativo 81/2008 e che nella Valutazione dei rischi sono compresi quelli dovuti a stress lavoro correlato.
“È stralegittimo”
Anche La Tecnica della Scuola ha preso posizione su questo argomento, sostenendo che è “stralegittimo riconoscere la sindrome di burnout nella scuola, tra i docenti”: non occorre, avevamo detto due anni fa, “alcuna commissione tecnico-scientifica, quella che nel 2018 verrà probabilmente allestita dal nuovo Governo, per accertare se chi sta in cattedra svolge o meno un lavoro gravoso. Il grado di stress e di patologie che ne derivano, senza ombra di certezza per chi svolge il lavoro di insegnante, è accertato da tempo”.
“In assoluto è inammissibile – avevamo detto – che un docente a 65-67 anni e oltre debba obbligatoriamente ancora insegnare a dei giovani che hanno 50 e più anni meno: anche perché a quell’età insegnare comporta un inevitabile innalzamento dello stress”.
Stress da lavoro: è una condizione medica
Nel frattempo, lo stress da lavoro è ufficialmente stato collocato come condizione medica: a stabilirlo, qualche mese fa, è stato l’Oms dopo decenni di studi. L’agenzia speciale dell’Onu per la salute ha anche fornito direttive ai medici per diagnosticarla.
Spiegando che lo stress e il logorio non sono solo frutto della stanchezza fisica. Si può essere affetti da burnout – introdotto dallo psicologo Herbert Freudenberger nel 1974 – di fronte a mancanza di energia o spossatezza, isolamento dal lavoro o sensazioni di negatività, diminuzione dell’efficacia professionale.
Pe l’Oms si compone di tre caratteristiche: “senso di esaurimento o debolezza energetica; aumento dell’isolamento dal proprio lavoro con sentimenti di negativismo o cinismo e ridotta efficacia professionale”.
In genere colpisce coloro che sono impiegati nelle professioni di aiuto, nelle emergenze, nel sociale come medici, infermieri, poliziotti, vigili del fuoco, assistenti sociali, caregiver, ma può colpire anche altre categorie di lavoratori, quella forza lavoro iperattiva, iperconnessa e schiacciata da mille impegni tra lavoro e famiglia.
Le donne – che nella scuola costituiscono oltre l’80% dell’organico complessivo – sarebbero più esposte degli uomini al pericolo di esaurimento psico-fisico.
Insegnare genera burnout
Premesso questo, è palese che la professione del docente sia generatrice di burnout: per i docenti, quindi, dovrebbe essere riconosciuta quale malattia professionale che affligge il mondo della scuola, perché sono sottoposti a ritmi di lavoro stressanti che generano condizioni di malessere e di disagio.
Ad aggravare la situazione di insofferenza dei docenti sono diversi fattori legati al fenomeno delle classi pollaio, all’irrequietezza degli alunni, alla maleducazione imperante, alla frustrazione di non sentirsi considerati dalla società.