“Bisogna rilanciare Università Ricerca”: questa la motivazione che ha indotto Giuseppe Conte a sdoppiare il Miur con due Ministri che siederanno entrambi al tavolo del Governo.
D’altronde – sottolinea il Presidente del Consiglio – non a caso il Governo ha deciso proprio di recente di creare l’Agenzia nazionale per la ricerca e l’università.
A guidare il neonato ministero ci sarà Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza nazionale dei rettori universitari, e rettore dell’Università Federico II di Napoli.
L’operazione, però, non sarà immediata in quanto per creare il nuovo ministero sarà necessario un passaggio normativo specifico.
Probabilmente potrebbe essere sufficiente un DPCM (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri) con cui si dovranno anche creare due “bilanci” separati che ora sono invece contenuti nell’unica “Tabella 7” allegata alla legge finanziaria del 2020.
La storia del Ministero dell’Università risale alla fine degli anni ottanta quando venne isituito dal Governo De Mita.
Dieci anni dopo ci fu l’accorpamento con l’Istruzione, nel 2006 si ritornò a due Ministeri separati, nel 2008, infine venne operata una nuova unificazione.
La separazione dell’Università dalla Scuola pone un problema di non poco conto, in quanto attualmente il personale di Scuola, Afam, Ricerca e Università fa parte di un unico comparto contrattuale.
Il CCNL siglato nell’aprile 2018 riguarda infatti tutto il personale dei 4 settori pur con trattamenti stipendiali diversificati.
Lo spacchettamento dei due ministeri, però, non dovrebbe determinare modifiche alle norme contrattuali, almeno nell’immediato, anche perchè i comparti di contrattazione sono definiti da altre norme e da un accordo quadro con le confederazioni sindacali.
Stefano d’Errico, segretario nazionale Unicobas, mette subito le mani avanti: “A noi questo spacchettamento non piace perchè rende ancora più solido il distacco fra scuola e università, mentre noi siamo da sempre per l’unicità della funzione docente a tutti i livelli”
“La divisione fra i due Ministeri – continua d’Errico – consolida la tendenza in atto dal 1993, anno in cui entrò in vigore il decreto legislativo 29: i docenti vengono considerati impiegati dello Stato e non professionisti; è la logica che impedisce, da allora, di attribuire ai docenti aumenti stipendiali che sforino il tasso di inflazione programmata. La scuola, insomma, resterà la cenerentola dell’intero sistema”.