Una nazione è civile se cura la propria Scuola. Ebbene, qual è lo stato di salute della Scuola italiana? Alcune notizie posso fungere da termometro per una diagnosi.
L’ANSA rivela che la Provincia della Spezia ha accettato un progetto dell’Istituto Professionale Einaudi-Chiodo, in base al quale gli studenti della provincia, divisi per “gruppi di manutenzione”, effettueranno per un anno manutenzione ordinaria nelle scuole. Due piccioni con una fava: ottemperare agli obblighi del PCTO (“Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”, ex “Alternanza Scuola-Lavoro”); e — ciò che forse più preme — risparmiare preziosi denari (che la Provincia non possiede) per manutenere le scuole. A riprova che il Paese di Pulcinella è pur sempre un Paese meraviglioso, dove persino ridurre all’osso i fondi per le scuole serve a educare e rinvigorire i teneri virgulti della razza italica.
Lo stato mentale dei giovanissimi
I quali teneri virgulti, frattanto, fanno spesso parlare di sé. A Carpi, nel modenese, tre minorenni in età scolare sono stati identificati (e l’unico maggiore di 14 anni denunciato) per getto pericoloso di cose e attentato alla sicurezza dei trasporti. Sostavano sui binari per immortalare la propria intelligenza facendosi “selfie” pochi istanti prima dell’arrivo dei treni in transito. Ridevano a crepapelle quando i macchinisti suonavano per segnalare il pericolo.
Grandi riformatori (col braccino corto)
Altra notizia-simbolo: parlamentari M5S (partito che prometteva mari e monti per la Scuola, tra cui l’abolizione secca della Legge 107/2015 “Buona Scuola”) hanno presentato un emendamento al Decreto legge “Milleproroghe”, per eliminare le classi pollaio stabilendo il limite massimo di 22 alunni per classe. Cosa buona e giusta, se non fosse per la beffa nascosta: l’emendamento stanzia solo 50 milioni per realizzare il provvedimento; ma servirebbe almeno un miliardo l’anno per realizzarlo. Altrimenti, con 50 milioni l’anno, le classi pollaio verrebbero abolite in 20 anni.
A chi non insegna, i denari stanziati per i docenti
E parliamo ancora di soldi. I Sindacati più potenti, quelli rappresentativi “maggiormente”, vogliono premiare gli insegnanti per il merito di non occuparsi più del proprio destino e di lasciare che ad occuparsene siano altri (politici, giornalisti, sindacalisti, industriali, professionisti vari). Per premiarli, hanno pensato bene di destinare i fondi destinati al bonus “premiale” per i docenti — previsto dalla Legge 107/2015 per ricompensare gli insegnanti secondo la decisione del Dirigente Scolastico e i criteri del comitato di valutazione — anche al personale ATA. Stessa sorte per la “carta del docente” (i 500 euro l’anno per computer e libri). Il che significherebbe diminuzione ulteriore dei fondi per pagare i docenti, e aumento di qualche euro e qualche centesimo per gli ATA. Infatti, visto che i docenti sono pagati come netturbini e gli ATA ancor meno, si è pensato bene togliere ai poveri (quelli plurilaureati, plurititolati e pluriabilitati che insegnano, e sui quali grava la responsabilità civile e penale della vigilanza sugli alunni) per dare (poco) a quelli ancora più poveri. Perché in fondo, sì, è giusto che si faccia tutti la fame nella stessa misura, senza quelle differenze che un grande Sindacato dei lavoratori — diamine! — non può certo tollerare. Anche perché, per dire la verità al Governo e agli Italiani (ossia che insegnanti e ATA dovrebbero esser pagati tutti almeno 1.200 euro in più ogni mese per avere un salario dignitoso come Costituzione prescrive) occorrerebbero coraggio e interessi divergenti da quelli del Governo stesso.
Studenti al PCTO, ma corsi obbligatori per i docenti
Ciliegina sulla torta, l’Atto di indirizzo della Ministra Azzolina per il 2020, che detta: «Sarà necessario, per il personale docente ed educativo, definire all’interno del nuovo Contratto di lavoro il monte ore annuale obbligatorio per la formazione e assicurare, attraverso opportuni monitoraggi, la qualità dell’offerta, ferma restando anche la necessità di implementare, a livello tecnologico, un sistema informatico in grado di contenere la storia formativa di ciascun docente e di farla “colloquiare” con i dati anagrafici relativi al servizio prestato». Tradotto: corsi di aggiornamento con monte ore obbligatorio per contratto e sistema informatico che “monitori” (schedi?) ciascun docente controllandone il “servizio” prestato, la “storia formativa” e i corsi frequentati. E chissà che il know-how non venga fornito dal Partito Comunista Cinese.
Non è una novità, comunque. Già quello del 1995 era un Contratto Nazionale “a punti“, che legava gli scatti d’anzianità (“gradoni”) ai corsi d’aggiornamento gestiti dagli IRRSAE di allora (“Istituti di Ricerca Regionali, di Sperimentazione e Aggiornamento Educativi”, cui non erano estranee le appendici “formative” dei grandi Sindacati). «Nihil sub sole novi» (Qohelet, 1,9), dunque.
Naturalmente ogni atto di indirizzo fornisce indicazioni generiche. Chi vi darà forma saranno i Sindacati maggiori e il Governo. E lì si parrà la lor nobilitate.
Davvero non sanno quel che fanno?
Orbene: visto lo stato di salute del nostro sistema scolastico (un tempo fra i migliori del mondo), che dire del livello raggiunto dalla civiltà italiana negli anni che stiamo vivendo? Quanto capita alla Scuola da 30 anni è frutto del caso? Possiamo ancora dire «Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno»?