Lo sciopero del 19 dicembre dei lavoratori dei comparti pubblici contro la manovra Monti si ricorderà, oltre che per la rappacificazione di tutti i maggiori sindacati, soprattutto per un motivo: l’aver aperto formalmente il dibattuto sul mantenimento in vita dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, la legge n. 300 del 20 maggio 1970, che obbliga i responsabili delle aziende con oltre 15 dipendenti a giustificare i licenziamenti con “giusta causa”. Oltre che a reintegrare i lavoratori, con il dovuto risarcimento, qualora fossero stati estromessi dall’impiego senza un motivo giustificato.
A sollevare il problema della modifica di uno dei punti chiave della legge “faro” sulle modalità di gestione del lavoro in Italia, è stato il segretario generale delle Cgil, Susanna Camusso, secondo cui “l’articolo 18 è una norma di civiltà”, grazie alla quale nessun “datore di lavoro può licenziare qualcuno perché gli sta antipatico, perché è iscritto a un sindacato o fa politica. E’ importante – ha continuato Camusso – che rimanga perché è un deterrente“. La risposta di Elsa Fornero, neo ministro del Welfare, non è sembrata conciliante: “rammarica e preoccupa la reazione dei sindacati. Sull’articolo 18 c’è il rischio di implicazioni per il Paese. Siamo pronti al dialogo, anche prima di gennaio, ma senza preclusioni“. Il pensiero della Fornero è stato rafforzato dal presidente di Confindustria, Emma Marcecaglia, secondo cui la riforma del mercato del lavoro va affrontata “con molta serietà, molto pragmatismo“, soprattutto perchè in Italia “abbiamo rigidità in uscita che non hanno uguali in Europa”.
La contrapposizione tra le parti ha contrassegnato l’intera giornata, al punto da mettere in secondo piano numeri e cronache solitamente associate agli scioperi generali che coinvolgono milioni di dipendenti. Anche la scuola, per la quale non risultano dati sulle adesioni, non è stata da meno. Anche perchè l’astensione di un’ora, da svolgere nell’ultima ora di servizio antimeridiano e nella prima per quelli che svolgevano attività pomeridiana, non dovrebbe aver riscosso consensi altissimi. In quasi tutti gli istituti, infatti, le lezioni si sono svolte con disagi limitati.
Non era evidentemente questo l’appuntamento migliore per dimostrare il dissenso in modo compatto. Anche perché sinora i contrasti con il Governo hanno riguardato tematiche (pensioni, Ici e via dicendo) di carattere puramente nazionale e non di comparto. Per saperne di più, per avere indicazioni più chiare dai sindacati di comparto, dovremo comunque aspettare non più di 72 ore. Giovedì 22 è infatti in programma, a partire delle ore 13, l’atteso primo incontro tra il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ed i cinque sindacati più rappresentativi della scuola. Anche se si tratterà di un incontro preliminare, sin da subito si comprenderà la volontà del nuovo responsabile del Miur di venire incontro o meno alle problematiche che esporranno i segretari generali: organici, assunzioni, risorse, valutazione, dimensionamento e tante altre. Si capirà subito, insomma, se Profumo sarà disposto a voltare pagina. Ascoltando i rappresentanti dei lavoratori di un comparto che negli ultimi anni sono stati deputati al sacrifico continuo. Come dire, il buongiorno… si vede dal mattino.