I cittadini sono tutti uguali. E così anche gli studenti. Che non possono essere discriminati in sede di selezione per accedere ad un corso universitario a numero chiuso. Tanto che 12 extracomunitari, inizialmente non ammessi alla facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma, perché non avevano raggiunto il punteggio minimo si sono visti annullare quella esclusione direttamente dai giudici amministrativi del Tar del Lazio.
Il ricorso era stato presentato dall’Unione degli Universitari contro un provvedimento dello scorso anno dell’ex ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, che per essere ammessi prevedeva il conseguimento nei test di ammissione alle facoltà di un punteggio minimo di 20/80esimi. Secondo l’Udu, che ora esulta per l’esito della vicenda processuale, quella soglia è stata introdotta impropriamente “per almeno due motivi: i test di ammissione prevedono 40 domande, sulle 80 totali, di cultura generale italiana. E gli stranieri sono ovviamente svantaggiati. Ma, soprattutto, gli studenti extracomunitari che si sono rivolti al Tar Lazio hanno presentato la domanda per i corsi di ammissione alla facoltà di Medicina prima che venisse pubblicato il decreto che impone lo sbarramento di 20 punti. Inoltre, il limite non ha ragione di esistere perché i posti riservati agli studenti extracomunitari nel 2011 sono stati 1.210, ma le domande appena 859”.
Per il sindacato studentesco, quindi, “non c’era ragione di imporre un limite di punteggio per essere ammessi. Anche perché a superare il test, secondo le regole della Gelmini, sono stati 352. Gli oltre 500 posti non assegnati sono rimasti vacanti, non sono stati rassegnati neppure agli studenti comunitari”.
Il coordinatore nazionale dell’Udu, Michele Orezzi, ha tenuto ad aggiungere che “la vittoria al Tar va a tutelare il diritto allo studio costituzionalmente garantito, ma come sindacato studentesco non possiamo fermarci qui: chiediamo ora al ministro Profumo di risolvere il problema degli altri studenti extracomunitari esclusi, e di aprire un tavolo di riforma sull’ingresso nelle università del nostro Paese, auspicando che questo sistema iniquo di sbarramento aprioristico cessi definitivamente di esistere“.
La richiesta del sindacato universitario merita attenzione: nei prossimi anni si prevede che il numero di giovani che chiederanno di essere ammessi ai corsi universitari, anche a numero chiuso, è destinato ad aumentare vertiginosamente. Bisogna considerare, infatti, che la grande maggioranza dei 300mila alunni non italiani oggi iscritti ad un corso scolastico italiano frequenta la scuola d’infanzia e primaria: molti di questi giovani, sempre più spesso nati in Italia, dunque destinati a rimanere nel nostro Paese, tra 10-15 anni termineranno la scuola superiore. Ed una parte si riverserà nelle Università.
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