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Le parole indispensabili nei giorni della paura e del coraggio, della solidarietà e dell’orgoglio

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Nella piovosa e triste serata di venerdì 27 marzo, in un giorno in cui si conferma, in Italia, la tendenza verso un leggero calo, o almeno una certa stabilizzazione della curva dei nuovi contagiati dal virus, in un giorno però funestato dal massimo numero di decessi (quasi mille), ci siamo ritrovati ad ascoltare, quasi in contemporanea, le parole di verità e di speranza provenienti da due persone che, mai come in questa triste congiuntura, costituiscono i più elevati punti di riferimento morale per la nostra comunità nazionale (Sergio Mattarella) e, nel caso di Papa Francesco, per l’intera umanità, mai così unita nella paura e nel dolore, senza confini statali e/o barriere di fedi religiose, di lingue, di costumi, di differenti regimi politici e di reciproci dissidi.

Il papa, solo in una piazza San Pietro semi-deserta e sferzata da una pioggia fredda e indifferente, ha parlato a tutti gli uomini della Terra, credenti e non credenti. Lo ha fatto con parole semplici, da tutti comprensibili, perché tutti accomunati, oggi, dalla paura e dalla necessità di un conforto, di un incoraggiamento per attingere, nei meandri della coscienza, alle ultime riserve di speranza e di coraggio. “… ci siamo accorti – ha affermato Francesco – che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”. E poi ha aggiunto, in tono quasi profetico: “La tempesta smaschera la vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità”. Con la tempesta, ha proseguito Francesco “… è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’, sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quell’ appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”. Queste parole, che mettono, bruscamente e senza attenuanti, sul banco degli accusati i nostri egoismi e l’insensato culto della nostra immagine, sono immediatamente seguite da altre che assumono il tono dell’invettiva: “avidi di guadagno ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta … Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.

Francesco, con il discorso di ieri sera, ci ha semplicemente e implacabilmente inchiodati alle nostre responsabilità e alle nostre colpe, quelle che abbiamo cumulato nei confronti dei nostri simili, soprattutto nei confronti dei più deboli e umili, dei poveri e degli affamati, degli sfruttati e dei profughi che fuggono dalle carestie e dalle guerre, e a quelle (che a noi sembrano più lievi, peccati veniali) che quotidianamente perpetriamo e poniamo in essere nei confronti della Natura, quel mondo malato a causa dei nostri errati comportamenti. Francesco, però, oltre a metterci sul banco degli imputati, ci indica (a tutti, non soltanto a coloro che condividono la sua fede) la via per la redenzione (non importa se trascendente o immanente): mettere al centro dei pensieri e delle azioni l’uomo, i suoi bisogni, le sue fragilità, le sue vulnerabilità, il suo essere esposto al nulla; un uomo che ha bisogno della solidarietà (da soli non ci si salva), ma anche di ricostruire un rapporto sano con una Natura quotidianamente offesa, vilipesa, violentata. Francesco ci dice, molto semplicemente, che non possiamo più andare avanti con la crescita illimitata, il consumismo sfrenato, il culto dell’immagine, l’indifferenza nei confronti degli umili. Le parole di Francesco, oltre ad essere di verità e profetiche, acquistano, proprio perché indicano un futuro diverso e un nuovo modello di sviluppo economico e di organizzazione sociale, un autentico valore rivoluzionario.

Complementari alle parole di Francesco, ma rivolte in particolare alla nazione che egli rappresenta, vale a dire la nazione italiana, intesa come comunità (storia, cultura, tradizioni, contributi offerti generosamente al progresso dell’intera umanità) e non come anonima moltitudine di individui tenuta insieme da un medesimo ordinamento giuridico, sono le parole di Sergio Mattarella. Egli si è rivolto a noi, non solo come uomini e donne accomunati dalla paura suscitata da un nemico invisibile e apparentemente invincibile, ma ha fatto appello al nostro coraggio, il coraggio quotidianamente dimostrato dai “soldati” che combattono nelle trincee degli ospedali, dei pronto soccorsi, nelle corsie, nei reparti di terapia intensiva, con grave rischio per la propria salute e per la propria sopravvivenza, ma anche a tutti coloro (le “retroguardie” del fronte) che sopportano i sacrifici e le limitazioni alla libertà individuale accettando con disciplina l’isolamento e il distanziamento sociale.

Doverosi (ma anche sinceri e commossi) quindi i ringraziamenti a medici, infermieri, all’intero personale sanitario, cui occorre “assicurare tutto il materiale necessario. Numerosi sono rimasti vittime del loro impegno generoso”.
E dopo i medici i dovuti e sentiti ringraziamenti ai farmacisti, agli agenti delle Forze dell’ordine, a coloro che mantengono in funzione le linee alimentari, i servizi e le attività essenziali, a coloro che trasportano i prodotti necessari, alle Forze Armate.

Lo stesso ringraziamento lo ha rivolto ai “volontari impegnati per alleviare le difficoltà delle persone più fragili, alla Protezione Civile che lavora senza soste e al Commissario nominato dal Governo, alle imprese che hanno riconvertito la loro produzione in beni necessari per l’emergenza”. Non è sfuggita, ovviamente, l’accenno al lavoro degli insegnanti, prezioso perché, in questo momento, pur mancando il contatto reale con gli alunni, riescono a mantenere, attraverso i dispositivi tecnologici,  “il dialogo – ha usato proprio questa bellissima parola – con i loro studenti”.

Ma il senso profondo delle parole del Presidente – quello che esprime magnificamente il sentimento di orgoglio (quell’orgoglio che tutti noi, in quanto italiani, dovremmo provare) di un Capo di Stato nei confronti dell’atteggiamento e del comportamento che accomuna tutto un popolo – lo si ritrova in queste parole: “Il senso di responsabilità dei cittadini è la risorsa più importante su cui può contare uno stato democratico in momenti come quello che stiamo vivendo. La risposta collettiva che il popolo italiano sta dando all’emergenza è oggetto di ammirazione anche all’estero, come ho potuto constatare nei tanti colloqui telefonici con Capi di Stato stranieri”.

Non sono mancate, nel discorso del Presidente (e di ciò gli va dato atto e gliene dobbiamo essere grati), parole di rimprovero nei confronti di alcuni nostri partners europei: “Nell’Unione Europea la Banca Centrale e la Commissione, nei giorni scorsi, hanno assunto importanti e positive decisioni finanziarie ed economiche, sostenute dal Parlamento Europeo.

Non lo ha ancora fatto il Consiglio dei capi dei governi nazionali. Ci si attende che questo avvenga concretamente nei prossimi giorni. Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è anche nel comune interesse”.

Suaviter in modo, furtiter in re (garbato nei modi, ma forte nella sostanza), avrebbero commentato gli antichi dotti umanisti. E’ in gioco, in questa guerra contro il virus, non soltanto il destino dell’Italia, ma anche quello dell’Europa, della quale vogliamo continuare a far parte, essendone una delle nazioni fondatrici, ma per cambiarne nel profondo i meccanismi, le procedure, le finalità.

Il discorso del Presidente Mattarella non poteva che essere concluso da un forte appello all’unità, tra tutti i cittadini e tra tutte le forze politiche, economiche e sociali, tutte egualmente impegnate in uno sforzo la cui posta in gioco è il futuro del’intera nazione. Pertanto “unità” e “coesione sociale”, sono le parole che devono aiutarci e ispirarci oggi e nei prossimi giorni e mesi. Diamo un senso, con fatti concreti e con il nostro comportamento, a parole così belle e mai, come in questo momento, così ricche di significato.

Francesco Sirleto